Un presidente patriota è per forza antifascista

Giorgia Meloni ha auspicato che il prossimo Presidente della Repubblica sia un patriota. Mi permetto di invitare l’Onorevole a riflettere su poche semplici considerazioni. 1. Essere patrioti vuol dire amare la patria. Spiegare cosa si dovrebbe intendere per amore e per patria richiede un approfondimento che le poche righe di un articolo non consentono. Mi limito a osservare che l’amore di patria, nel suo più nobile significato, è, in primo luogo, l’amore della libertà di un popolo.

L'altra Italia: vinta ma non vittima


 In Un’altra Italia, Fano, Aras Edizioni, 2021, Pietro Polito – direttore del Centro Studi Piero Gobetti, collaboratore di Norberto Bobbio dal 1992 al 2003 – ha raccolto preziose riflessioni sull’eredità morale e politica degli intellettuali italiani del Novecento – Piero Gobetti, Ernesto Rossi, Alessandro Galante Garrone, Leone Ginzburg, Silvio Trentin, Guido Dorso, Pier Paolo Pasolini, Ada Gobetti, Aldo Capitini, Franco Antonicelli, Bianca Guidetti Serra, Norberto Bobbio e altri ancora – che con i loro scritti e il loro impegno civile hanno testimoniato che c’è stata un’ “altra Italia”.

Le basi del diritto. Fidarsi dell'altro.

Quando ero ragazzo ascoltavo stupito e ammirato i miei zii commercianti narrare che ai loro tempi i contratti si chiudevano con una stretta di mano. Oggi solo uno sprovveduto venderebbe o comprerebbe alcunché senza adeguate garanzie legali. Abbiamo sempre meno fiducia negli altri. Gli studi sociologici confermano da anni queste convinzioni di senso comune.

Il ritorno dei profeti e l’Italia nelle mani della social-banalità

 

“Spariranno profeti e profezie, / Se mai ne furono”, scrisse Eugenio Montale pochi giorni dopo l’orribile attentato fascista alla Banca dell’Agricoltura di Milano del 12 dicembre 1969. Con la sensibilità dei grandi poeti, aveva capito che il tempo dei profeti era finito. Ma nella storia d’Italia ci sono stati profeti che hanno ispirato a impegnarsi per l’emancipazione sociale e politica, hanno esortato uomini e donne a non affidarsi al destino o al fato, ad assumersi la responsabilità della scelta morale; hanno criticato i contemporanei per i loro vizi e li hanno incoraggiati a liberarsi dalla servitù; hanno sofferto per le ingiustizie del loro tempo e dato un significato alla sofferenza con l’annuncio del riscatto; hanno scritto o parlato con pathos per stimolare l’immaginazione e rafforzare le passioni che sostengono la redenzione; hanno interpretato e narrato le sconfitte del loro popolo con parole idonee a combattere la tentazione di arrendersi; hanno saputo infondere negli animi la determinazione a sopportare i sacrifici che la lotta per la libertà esige.

Libertà non significa assenza di regole, specie in pandemia

 

Il 25 Aprile siamo stati sopraffatti dalla barbarie di una movida senza limiti e regole nemmeno di buon senso, partecipata da chi, con tutta evidenza, del valore e del significato della Liberazione non sa proprio nulla. Abbiamo visto molte piazze italiane stracolme di persone incuranti del fatto che siamo nel bel mezzo di una pandemia. In particolare abbiamo assistito a ciò che è avvenuto a Firenze, in piazza Santo Spirito, dove di fatto era impedito il passaggio ai residenti. Tutto questo in nome delle libertà delle persone. Ma cosa è la libertà? Si può limitare in nome di un valore più grande? Se sì, fino a dove? Ha ancora senso parlare di autolimitazione in nome del principio più alto del bene comune? La salute del prossimo e soprattutto dei più deboli e fragili è oggi percepita come bene comune e come interesse generale?

Carlo Mosca, il mestiere del prefetto lontano dai flash

 

Carlo Mosca, deceduto due giorni fa a Roma (era nato a Milano nel 1945) è stato un servitore esemplare della Repubblica, come Direttore della Scuola Superiore del ministero dell’Interno, capo di gabinetto dei ministri dell’Interno Amato e Pisanu, Prefetto di Roma, vicedirettore del Sisde, membro del Consiglio di Stato. Esemplare perché intendeva e viveva il servizio alla Repubblica come “impegno silenzioso e lontano da ribalte illuminate” sostenuto e guidato dalla “forza interiore” che consiste nella “capacità morale, spirituale e intellettuale di cogliere, recepire e vivere un valore o più valori”, come ha scritto in uno dei suoi libri più importanti, Il prefetto e l’unità nazionale del 2016. Non perdeva occasione per spiegare ai prefetti, anziani e giovani, la speciale dignità che servire la Repubblica, con disciplina e onore, conferisce alla persona. La sua è un’eredità morale, prima ancora che intellettuale, che si distacca nettamente dalla ricerca sfrenata della fama e del potere che pervade tanta parte della nostra vita pubblica. È inestimabile. Carlo Mosca non ci ha lasciato soltanto insegnamenti sul significato e il valore del servizio alla Repubblica, ma una concezione della vita guidata dal principio del dovere. “L’esaltazione del dovere o meglio dei doveri – ha scritto – è importante quanto l’esaltazione dei diritti, soprattutto in un momento storico in cui sembra forte solo l’affermazione dei diritti, i quali non possono essere vissuti ed esercitati consapevolmente, se si perde il senso del rispetto del dovere o dei doveri”. Intendeva il dovere e il servizio alla Repubblica in una prospettiva cristiana che si traduceva nell’attenzione generosa nei confronti delle persone. Chiunque ha avuto la grande fortuna di conoscerlo, ha trovato in lui un maestro di vita e un amico. Oltre al figlio Davide, lascia tanti amici e allevi nell’amministrazione dello Stato, e nelle università. Il suo esempio e i suoi scritti devono diventare il fondamento di una scuola che educhi veri servitori dello Stato. Era il suo sogno.