Castori, la curva Mare e il bello del calcio



Se il mondo del calcio riflette l’Italia, allora c'è speranza, nonostante il marcio. I fatti riguardano, direttamente o indirettamente, la squadra che amo, il piccolo grande Cesena, retrocesso in B coni' onore intatto. Il primo fatto che mi fa sperare è la storia di Fabrizio Castori, indimenticato allenatore del Cesena dal 2003 al 2008. Memorabile la promozione dalla C alla B al termine della battaglia di Lumezzane (21 giugno 2004) dove il Cesena vince e Fabrizio Castori viene punito con tre anni di squalifica per essere entrato in campo e aver malmenato il giocatore avversario Strada che aveva deriso dopo il gol del momentaneo pareggio.

Memorabile anche la mancata promozione in A l' anno successivo, complice un arbitraggio discutibile a vantaggio del Torino. Dopo ha allenato, sempre in B, Salernitana, Piacenza, Ascoli, Varese e Reggina, tutte esperienze finite con amari esoneri. Quest'anno, finalmente, la riscossa con la promozione in A dello straordinario Carpi. Fin qui sembra una storia di ordinaria tenacia. Straordinario è invece che ad andare in Serie A, contro gli auspici di figuri come Lotito, sia un allenatore come Castori, uomo di onestà e correttezza d'altri tempi. Esonerato nel 2008 (retrocessione in C) strappa il contratto che lo legava al Cesena fino al 2010, rinunciando così allo stipendio perché lo aveva promesso. Castori è incapace di furbizie e di sotterfugi. Dopo la rissa di Lumezzane, i dirigenti del Cesena lo implorano di non rilasciare dichiarazioni per non compromettere la sua già difficile posizione. Castori cosa fa? Dice quel che pensa: "Provocazione chiama ribellione".
Squalificato continua ad allenare senza andare in panchina. Trova anche il tempo di seguire i dilettanti del San Patrignano, sempre senza sedere sulla panchina. Di qui una delle sue frasi celebri: "Sono l'unico che allena due squadre e non ha neanche una panchina". Castori non è un francescano. "I bravi ragazzi - al tra sua frase celebre - vanno bene come mariti per le figlie, non per giocare al calcio". Ai tempi del Cesena i suoi uomini erano tipi come Manolo Pestrin, Riccardo Bocchini e Maurizio Peccarisi, guerrieri prima che calciatori. Ama il calcio fatto di arrembaggi. La partita dei sogni per Castori dovrebbe finire 4-3 per la sua squadra con una rimonta da 0-3 e magari due espulsioni dei suoi. La storia di Castori sfata uno dei luoghi comuni più tenaci della mentalità italica, vale a dire che vincono sempre e solo i furbi.
A smentire l'altro grande pilastro che soltanto i vincitori ottengono ammirazione e stima ci pensano i tifosi del Cesena. La retrocessi o ne è esperienza doloro sa. La sofferenza comincia di solito ai primi segni premonitori all'inizio del campionato. Poi è un al ternarsi di speranze e delusioni, ma continui a credere nel miracolo, fin quando non arriva il verdetto. Il dispiacere si trasforma quasi sempre in collera contro i giocatori, l’allenatore, la società. Partono gli insulti e le minacce; spesso si scatena la violenza più cieca e assurda. Non a Cesena. Al termine della partita che ha sancito la retrocessione matematica, i giocatori sono andati verso la Curva Mare timorosi di essere subissati dai fischi e cori offensivi. Spronati dal capita no spesso non giocatore Succi si avvicina no ai tifosi (al Manuzzi non ci sono barriere) per lanciare le maglie. Scatta un applauso generoso da tutto lo stadio. Più di un giocatore ha dichiarato di non aver ma i vissuto un'esperienza simile. Altri di voler restare a Cesena per continuare a giocare davanti a quel pubblico straordinario.
Per qualche misteriosa ragione, i sostenitori del Cesena capiscono la differenza fra mercenari e giocatori che amano la maglia che indossano e danno tutto. I primi li deridono anche in modi molto coloriti; i secondi li ammirano, che vincano o che perdano. E qui sta l’ultima lezione che da vecchio professore riconosco ai ragazzi della Curva Mare. Ci sono sconfitte con disonore e sconfitte con onore. Dalle prime fai molta fatica a rialzarti; dalle seconde ti rialzi sempre, e spesso prima di quanto non speri.

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