Restiamo umanisti





In tempi come questi, può consolare leggere l’Umanesimo, una delle stagioni culturalmente più felici della storia italiana. Gran parte degli scritti dei filosofi, degli storici, dei poeti e dei filologi umanisti sono però leggibili soltanto in edizioni difficili da reperire. A rimediare ci ha pensato l’ Einaudi pubblicando la bella antologia Umanisti italiani. Pensiero e destino a cura di Raphael Ebgi, con un saggio introduttivo di Massimo Cacciari.

Il primo capitolo è dedicato all’’Umanesimo tragico’, una scelta felice in quanto mette in evidenza che gli umanisti avevano sofferta consapevolezza che l’esperienza umana è dolorosa, le speranze sono quasi sempre vane illusioni e i sogni di gloria e potenza insensate follie. Il tempo è vortice inarrestabile, e chi si affida ad esso sarà trascinato come da impetuosa corrente e vivrà inquieto e tormentato, invecchiando fra gemiti e lacrime. È da stolti credere che le nostre forze e le nostre arti possano proteggerci dal dolore che nasce dalla nostra fragilità. Per attenuare l’angoscia del vivere servirebbe una rinnovata filosofia che trattasse non dei problemi metafisici ma della condizione umana.
Proprio nello sforzo di elaborare una saggezza che aiuti a intendere il mondo umano nelle sue molteplici dimensioni – dall’esperienza religiosa al linguaggio, alla storia, all’amore del bello alla vita civile e politica – sta l’anima autentica dell’Umanesimo, come ci ha insegnato Eugenio Garin in studi ormai classici. Hanno fatto bene i curatori a scegliere i testi che trattano di vita attiva e vita contemplativa, filologia e filosofia,  metafisica,  teologia poetica, ermetismo, cielo e mondo, e delle rappresentazioni del futuro, tutti temi tipici dell’Umanesimo italiano. Avrebbero tuttavia potuto dedicare maggiore attenzione anche alla storia e alla vita civile e politica, due argomenti altrettanto distintivi del pensiero umanista.
Nell’ antologia possiamo leggere testi particolarmente preziosi per capire lo spirito profetico che permeava il tempo dell’ Umanesimo, quando, come scriveva lo storico Luca Landucci (1436-1516), “el mondo era sollevato a’ spettare gran cose da Dio” e Firenze pareva una “terra profetica” destinata a realizzare nella storia il mito della “Nuova Gerusalemme”. Un tempo nel quale convivevano il terrore di immani tragedie – alimentato dalle invasioni straniere, dalle guerre e dai rivolgimenti politici – e la speranza nella renovatio. Intesa quest’ultima come radicale riforma religiosa e morale da realizzare riportando in vita i princîpi autentici del vivere cristiano per edificare su quelli un vivere civile e politico in grado di assicurare finalmente alle creature di Dio la pace e la giustizia. “È impossibile non ascoltare in tutti gli autori dell’Umanesimo”, ha scritto giustamente Cacciari, l’appello alla renovatio “che combina in sé, privilegiando ora l’uno ora l’altro, i timbri del rinnovamento spirituale, della riforma politico-civile, di quella religiosa” e orienta e anima gli studia humanitatis, dalla filologia alla storia alla filosofia. Gli umanisti non pensarono mai a far risorgere il passato, ma a “risvegliare il presente”. (p. XVII)
Il profeta più ascoltato fu Girolamo Savonarola di cui i curatori pubblicano una delle prediche più indicative del suo modo di intendere e praticare la profezia, quella sui Salmi del 13 gennaio 1495. Seguendo l’esempio dei profeti dell’Antico Testamento, Savonarola riprende severamente i vizi dei fiorentini. Agisce non come un padre severo che castiga i figli, ma come una madre che insegna. Li ammonisce a non dimenticare il precetto biblico di non disprezzare e di non cacciare i profeti mandati da Dio perché soltanto da loro può venire la rendenzione.
Accusato e processato per eresia, Savonarola, fu impiccato il 23 maggio 1498, il suo corpo bruciato e le ceneri disperse in Arno. Ma lo spirito profetico visse ancora, perfino in Machiavelli. Nell’ antologia troviamo un suo scritto del 1506, i Ghiribizzi al Soderini (Giovan Battista Soderini, 1484-1528) che i curatori giustamente presentano come uno testo che anticipa temi fondamentali del Principe. Il Principe, che la vulgata presenta come un manuale del realismo politico, si chiude con una profezia tratta da Petrarca: “Virtù contro a furore / prenderà l'arme, e fia el combatter corto; / ché l'antico valore / nell'italici cor non è ancor morto”.
Con il tramonto dell’Umanesimo si affievolì anche lo spirito profetico in Italia. Rinacque tuttavia più di tre secoli dopo agli albori del Risorgimento. Giuseppe Mazzini, il profeta del Risorgimento iniziò infatti la sua lunga e tormentata esperienza intellettuale e politica con uno scritto sullo spirito profetico in Dante, uno dei mestri riconosciuti degli umanisti. Da Dante Mazzini trasse il modello di profeta che ispirò tutta la sua vita: un grande animo mosso da “sdegno santo” che condanna con voce possente e severa la corruzione del suo tempo e chiama alla lotta per il riscatto morale e politico. Possiamo tranquillamente fare a meno dell’utopia, con le sue fredde e perfette costruzioni razionali. Ma non possiamo fare a meno della profezia, se vogliamo poter immaginare e tentare di costruire un tempo veramente nuovo.  L’Umanesimo ha conosciuto anche l’utopia, con Thomas More. La sua anima più fertile è stata tuttavia, in Italia, profetica. Anche per questa ragione conserva intatto un fascino che resiste al tempo.


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