Il
richiamo a Simone Weil fatto dal ministro Salvini durante il suo discorso di
domenica a Pontida è frutto di un uso perverso e mistificatorio del linguaggio
dei doveri e di un’evidente ed inaccettabile manipolazione del pensiero di una
delle più grandi pensatrici del Novecento. Quando Simone Weil, nella sua opera L’enracinement,
parlava della priorità dei doveri sui diritti si riferiva al fatto che solo i
doveri hanno la capacità di garantire i diritti, i quali altrimenti hanno bisogno
della forza per essere attuati. Ciò che la filosofa francese voleva
sottolineare è che soltanto in una società pervasa da una diffusa cultura dei
doveri i diritti possono essere davvero concretizzati: «l’adempimento effettivo
di un diritto non viene da chi lo possiede, bensì dagli altri uomini che si
riconoscono, nei suoi confronti, obbligati a qualcosa». Nella sua visione del
mondo, i doveri avevano la funzione fondamentale di legare gli uomini tra di
loro, non di dividerli. Ella riconosceva che i doveri sono radicati nell’animo
umano e che essi – a cominciare da quelli dei governanti nei confronti dei
governati — costituiscono l’elemento essenziale per ogni ordinamento legittimo
e per ogni relazione sociale nella quale si voglia realizzare la giustizia.
Queste
idee sono condivise nella tradizione repubblicana e democratica. Autori come
Giuseppe Mazzini e Guido Calogero, ad esempio, hanno insistito sul fatto che i
diritti degli altri sono sempre il riflesso dei nostri doveri nei loro
confronti. Mazzini ne I doveri dell’uomo
si rivolge agli operai italiani per ammonirli che anche per loro prima
della patria ci sono i doveri verso l’umanità,
in particolare verso l’umanità
che soffre perché oppressa da poteri dispotici, straziata da guerre, umiliata
dalla povertà. A chi poi volesse obiettare che Mazzini si rivolge agli operai italiani,
ricordiamo che per Mazzini «Patria non è
un territorio; il territorio non ne è che la base»e che «Lavorando, secondo i
veri principi, per la Patria, noi lavoriamo per l’Umanità».Chi
non capisce che la nostra Repubblica è nata per servire il principio che patria
ed umanità non si possono dissociare, pena ricadere nell’orrore del
nazionalismo fascista, non può essere
leale alla Costituzione e quindi non ha la dignità morale per essere un
rappresentante, per di più con poteri di governo. La Costituzione sulla quale
Salvini ha giurato, all’articolo 2 prescrive che «La Repubblica riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell'uomo»(non dei soli italiani, non dei soli
bianchi, non dei soli cattolici, non dei soli eterosessuali) «e richiede
l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e
sociale»; all’articolo 10 afferma che «Lo straniero, al quale sia impedito nel
suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla
Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica,
secondo le condizioni stabilite dalla legge».
Dalla
tradizione di emancipazione mazziniana hanno tratto ispirazione molte fra le
migliori donne e i migliori uomini che contribuirono con il loro pensiero, la
loro azione e il loro sacrificio a liberare l’Italia dai nazifascisti. A
differenza però di quanto avviene nella tradizione autoritaria alla quale si
iscrive a pieno titolo il discorso di Salvini, in questa tradizione — che
include Simone Weil, anch’ella combattente per la libertà dal totalitarismo — il
richiamo ai doveri non è mai motivato dalla volontà di ‘mettere a posto’
qualcuno e di escluderlo dal consesso civile, bensì per sottolineare che, di
fronte all’altro — soprattutto quando l’‘altro’ è lo sventurato che, senza
voce, implora di essere aiutato — abbiamo dei doveri irrinunciabili e non
derogabili. Mentre nella tradizione autoritaria i doveri (degli altri) vengono
invocati per rafforzare la struttura verticale del potere e per opprimere i
deboli (ed è questo che li ha spesso screditati agli occhi della sinistra),
nella tradizione repubblicana e democratica essi sono al centro di una visione
egualitaria della società, nella quale ognuno si fa carico dei bisogni dell’altro
e se ne prende cura responsabilmente. Sono questi bisogni che per la Weil
generano i nostri doveri, i quali vanno al di là della legge, e se necessario
anche contro la legge: ad esempio, «far sì che un uomo non soffra la fame
quando si ha la possibilità di aiutarlo è un obbligo eterno verso l’essere
umano».
C’è
dunque
un’ideale di fraternità alla base
dell’etica dei doveri, ed è bene ricordarlo a chi invece vuole
strumentalizzarla per le sue politiche di odio e di esclusione. Quando parlate
dei doveri, caro ministro dell’interno e cari amici che ne apprezzate le opere
e le parole, ricordatevi che siete voi, innanzi tutto, ad avere dei doveri nei
confronti degli altri.
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