È diventato difficile mantenere vivi nella coscienza degli Italiani il significato e la consapevolezza della Liberazione.
Anno dopo anno diventano sempre più forti le voci che deturpano la verità. Hanno cominciato col dirci che la lotta di liberazione è stata una guerra civile, Italiani contro Italiani, che ci furono crimini e crudeltà da una parte e dall’altra, che anche i repubblichini avevano ideali, e amavano la patria. Perdoniamo, dimentichiamo tutto è l’invito che abbiamo ascoltato tante volte.
La giusta risposta a queste convinzioni l’ha già data Alessandro Galante Garrone in un discorso che tenne a Torino nel 1958: “Noi uomini della Resistenza siamo stati longanimi coi nostri avversari (anche troppo!), e abbiamo sinceramente desiderato il perdono e l’oblio degli atroci insulti patiti. Ma nessuna riconciliazione è possibile, se non con chi accetta come un fatto irrevocabile la vittoria degli ideali di libertà e di giustizia rappresentati dalla Resistenza e trasfusi nella Costituzione. Il bene non può patteggiare col male, la civiltà con la barbarie: questo sarebbe un tradire i nostri morti”. Non merita aggiungere altro.
Altrettanto insensata è l’idea che il fascismo ha salvato l’Italia dalla rivoluzione bolscevica. Riflettiamo pacatamente su questa affermazione. Il 30 ottobre 1922, quando Vittorio Emanuele III chiamò Benito Mussolini a formare il governo, non c’era in Italia alcun pericolo di rivoluzione bolscevica. Lo hanno sostenuto non gli antifascisti, ma lo stesso Mussolini: “Noi – scriveva il 2 luglio 1921 – pensiamo che la guerriglia civile si avvia all’epilogo. […] Dire che un pericolo ‘bolscevico’esiste ancora in Italia significa scambiare per realtà certe oblique paure. Il bolscevismo è vinto. Di più: è stato rinnegato dai capi e dalle masse”.
Esaminiamo i fatti. Prima di quel disgraziato 30 ottobre, i fascisti avevano distrutto sezioni e cooperative socialiste, comuniste e popolari, aggredito militanti dei partiti democratici e di sinistra. Giunti al potere, hanno praticato l’ignobile metodo dell’assassinio politico: il 23 agosto 1923, gli squadristi di Italo Balbo hanno massacrato don Giovanni Minzoni ad Argenta; il 10 giugno 1924, per ordine di Mussolini è stato assassinato Giacomo Matteotti; il 15 febbraio 1926, a causa delle ferite subite per mano fascista, Piero Gobetti è morto a Parigi; il 7 aprile 1926, dopo essere stato ripetutamente aggredito dei fascisti, è spirato Giovanni Amendola; il 27 aprile 1937, è morto in carcere Antonio Gramsci; il 9 giugno 1937, Carlo e Nello Rosselli sono stati barbaramente trucidati per ordine diretto del governo italiano. L’elenco potrebbe continuare. I fascisti hanno ucciso Italiani perché loro scopo non era difendere lo Stato liberale, ma distruggerlo, come hanno fatto con sistematica determinazione. È questo l’amore della patria?
Per intendere il significato della Liberazione è necessario capire da che cosa ci siamo liberati. E per capire dobbiamo liberarci dal luogo ormai purtroppo comune che “il fascismo ha fatto anche cose buone”. Parlino i fatti. Fra il 1925 e il 1926 il governo Mussolini ha emanato le cosiddette “leggi fascistissime” che hanno tolto agli Italiani la libertà di parola e di stampa, la libertà di associarsi in partiti politici e in sindacati (a eccezione del partito e dei sindacati fascisti, naturalmente) e la libertà di sciopero. Ha istituito il tribunale speciale per la difesa dello Stato al fine di perseguire i reati di antifascismo. Fra il 1931 e il 1935 ha scatenato una brutale repressione in Cirenaica e la guerra di conquista in Etiopia. Nel settembre del 1938 ha emanato le famigerate leggi razziali volte a colpire i cittadini italiani di razza ebraica. Il 10 giugno 1940 Mussolini ha dichiarato guerra all’Inghilterra e ha aggredito la Francia, già sconfitta, e ha mandato gli italiani a morire in Africa, in Grecia, nei Balcani, in Russia. Nel settembre del 1943 ha fondato, per ordine di Hitler, la repubblica sociale italiana. Una serie di atti d’amore davvero esemplari verso l’Italia e gli Italiani.
Le presunte “cose buone” del fascismo – le colonie estive, le bonifiche delle paludi, le opere assistenziali per la maternità e l’infanzia – sono del tutto irrilevanti di fronte al male che il fascismo ha inflitto all’Italia e agli Italiani. Quelle cosiddette cose buone non erano tali per la semplice ragione che Mussolini le ha fatte non per il bene degli Italiani, ma per rafforzare il consenso al regime: il consenso di uomini e donne che lo stesso regime aveva reso servi. Se avesse voluto il bene degli Italiani, il fascismo avrebbe lasciato loro il bene più prezioso, la libertà. Nessuna bonifica, nessuna colonia estiva, nessun concordato, nessuna opera assistenziale compensa la perdita della libertà. Per gli uomini e le donne liberi, s’intende; per i servi è tutt’altro discorso.
Altra sciocchezza è la tesi che la Resistenza è stata dal punto di vista militare insignificante. La verità è che l’iniziativa militare della Resistenza costrinse i tedeschi a impegnare contro i partigiani truppe e mezzi che sarebbero stati invece rivolti contro gli alleati. In molti casi l’iniziativa partigiana fu indispensabile per la liberare le città. Le ricerche degli storici – si legga il libro di Alessandro Natta L’altra Resistenza. I militari italiani internati in Germania 1997 – hanno messo davanti agli occhi di tutti che, accanto alla Resistenza partigiana, ci fu quella dei soldati dell’esercito italiano. Più di seicentomila soldati catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre accettarono la prigionia in Germania piuttosto che aderire alla repubblica di Salò. La loro fu una scelta per la patria, pagata in molti casi con la vita. Che cosa sarebbe successo se quei seicentomila soldati avessero aderito alla repubblica di Salò, fossero stati riarmati e inviati a combattere contro gli Alleati?
Sorvolo, per carità, appunto, di patria sulla tesi che l’8 settembre 1943 morì la patria italiana e che la Resistenza non riuscì a farla rinascere. Si leggano le pagine di Piero Calamandrei e di Natalia Ginzburg, per citare solo i nomi più noti. Fra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 morì un modo di intendere la patria, e rinacque un’altra ben più alta idea di patria che aveva radici lontane nel nostro Risorgimento.
Ultima, per ora, deformazione della verità è l’opinione del presidente del Senato Ignazio La Russa che “nella Costituzione non c’è alcun riferimento all’antifascismo”. Falso: la nostra Costituzione è tutta antifascista. Contro l’idea e la pratica che la sovranità appartiene al duce, afferma il principio della sovranità popolare; contro il delirio totalitario che “tutto è nello Stato”, afferma che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, quei diritti che il fascismo disprezzava perché fondamento dell’odiato liberalismo; contro la dottrina fascista delle razze superiori e del cattolicesimo religione di Stato, afferma che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale senza distinzione di razza, di lingua e di religione; contro l’esaltazione fascista della guerra di conquista, afferma che l’Italia ripudia la guerra; contro l’esistenza stessa di un partito fascista ha la norma finale, non transitoria, XII. E l’elenco potrebbe continuare.
La nostra Liberazione è stata una straordinaria esperienza di rinascita religiosa e morale che può capire solo chi ama la libertà e che deve essere salvaguardata dalle menzogne e narrata con le parole giuste.
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