Giovanni Sartori
ha messo al servizio della sua passione civile una scienza politica, ma forse
il termine più giusto sarebbe una saggezza politica, che si avvaleva di diversi
stili di pensiero: comparativo, analitico, interpretativo, storico. Grazie al
suo metodo, Sartori è stato in grado di capire bene le vicende italiane.
Un populista di nome Matteo Renzi
Lo slogan dominante della campagna elettorale di Matteo
Renzi è che il suo PD è l’unico argine contro i populismi di Berlusconi e della
Lega da una parte, e del Movimento 5Stelle dall’altra. Lo ha già ribadito più
volte e lo ripeterà ad nauseam fino
alla vigilia del voto, forse perché ha sentito dire che l’antica metafora
dell’argine è efficace: evoca una salda difesa contro inondazioni ed alluvioni
che tutto travolgono e tutto distruggono.
San Marino, 16 novembre
Inaugurazione Anno Accademico 2017-18 dell'Università degli Studi della Repubblica di San Marino
16 novembre 2017, ore 11.00
sala Arengo, Centro Congressi Kursaal
viale Kennedy 17, San Marino
Verona, 17 Ottobre
Patria Italia – a partire da “La Meditazione” di Francesco Hayez
L’Italia appare sconfitta ma non rassegnata; ferita ma non vinta. Il
volto della giovane donna è inclinato, ma pronto a rialzarsi; il suo
sguardo è fiero: sfida i suoi oppressori, è consapevole della sua
storia, è pronta al sacrificio. L’ideale dell’amor di patria è espresso e
rappresentato nella sua forma più pura e ci permette di rivedere sotto
nuova luce il grande tema della redenzione politica e morale.
L’occasione per rifare chiarezza su concetti – “nazione”, “patria”,
“stato, “popolo”- troppo spesso confusi tra loro.
Trani, 22 settembre
22 settembre 2017
Lezione
La bellezza del vivere libero
con Maurizio Viroli
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“Noi amiamo la bellezza” spiega Pericle
nella sua celebre orazione in elogio alla democrazia ateniese riportata
da Tucidide nella sua storia della Guerra del Peloponneso. Nasce da
questo testo la tradizione intellettuale che sottolinea il profondo
legame che unisce l’amore della bellezza e l’amore del vivere libero.
Link al programma completo della manifestazione: QUI
Pisa, 16 settembre
Carlo Azeglio Ciampi è stato uno degli allievi di
cui la Scuola Normale Superiore va più fiera. Il suo attaccamento alle
istituzioni repubblicane; la dedizione, la competenza che tutti gli
riconoscono nello svolgimento degli incarichi ricoperti prima in Banca d’Italia e successivamente come Presidente del Consiglio e Presidente della Repubblica,
sono stati sempre accompagnati da una profonda umanità, dal confronto
aperto e leale con gli altri come metodo di lavoro, dal profondo
rispetto per le istituzioni repubblicane e dall’amore per la patria
(valore, quest’ultimo, che seppe riportare magistralmente in auge).
Fascisti e cristiani
Intervistato
dalla giornalista del ‘Fatto’ Emilia Trevisani, fuori dalla chiesa di don
Massimo Biancalani a Pistoia, un giovanotto di ‘Forza Nuova’ ha affermato che
“un fascista è un buon cattolico”. Cosa intenda per ‘cattolico’ non so e non mi
interessa sapere. Quel che è certo, è che un fascista non può essere cristiano,
se essere cristiano vuol dire vivere l’insegnamento di Cristo. Il cristianesimo
afferma che esiste un solo Dio, ama la libertà politica e morale, predica la
carità, la pace, la fratellanza degli esseri umani, l’uguale dignità di tutti;
il fascismo eleva lo stato totalitario a divinità da adorare, detesta la
libertà politica e morale e la vuole piegata all’esigenza superiore della disciplina
imposta con la forza, disprezza la carità (leggete cosa scriveva Giovanni Gentile),
ama la guerra come esperienza mistica nella quale eccelle la forza degli
individui e dei popoli, disprezza i deboli, farnetica di razze superiori
(destinate a comandare) e razze inferiori (destinate a obbedire).
Machiavelli, "Principe" delle osterie e del canto
Non c’è niente di
meglio delle commedie, come lettura estiva, specialmente se sono opere che
oltre a rallegrare, aiutano a capire la vita politica e la vita di tutti i
giorni. Fra tutte, le commedie di Machiavelli hanno pochi rivali quanto a
dilettare e a istruire. Se poi sono presentate e commentate in maniera
magistrale, come la nuova edizione delle opere teatrali curata da Pasquale
Stoppelli, emerito della Sapienza di Roma, per l’Edizione Nazionale (Salerno
Editrice, Roma), il piacere della lettura è assicurato. L’ ‘Introduzione’
regala infatti alcune perle di saggezza interpretativa che permettono di
gustare in maniere nuova la bellezza e la profondità dei testi machiavelliani e
gettano nuova luce su un tema che ha intrigato e tutt’ora intriga i lettori,
vale a dire il rapporto fra il Machiavelli scrittore di politica e di storia e
il Machiavelli autore di commedie.
Combattere i nuovi fascismi è dovere, lo impone la Carta
Di certo non
era sua intenzione, ma l’articolo di Antonio Padellaro, (Il Fatto Quotidiano,
14 luglio 2017) pare un invito alla rassegnazione di fronte all’avanzata del
fascismo del terzo millennio. “Il fascismo del presente, osserva Padellaro,
vive e lotta a pieno titolo nelle istituzioni democratiche”, e dunque, “vorremmo
chiedere pacatamente a Fiano come sia possibile oggi impedire ai corpi
militarizzati di Casa Pound di esibire labari e braccia tese nelle sfilate per
le strade di Roma o di Milano”.
Ha un senso,
si chiede Padellaro, chiudere la stalla quando i buoi sono scappati da quel dì,
e ci riferiamo ai tanti giovanotti e giovanotte che in quei lugubri raduni
inneggiano al duce senza averne la minima cognizione storica?”. Non solo ha un
senso, ma è dovere preciso di chi governa e di chi ci rappresenta rispettare il
dettato esplicitamente antifascista della nostra Costituzione, e dotare la
Repubblica delle leggi necessarie per cacciare in carcere chiunque esibisca un
simbolo fascista o saluti romanamente. Non farlo vorrebbe dire ripetere un
errore simile a quello di quell’inetto di re Vittorio Emanuele III che rifiutò
di firmare la dichiarazione dello stato di guerra per fermare la marcia su Roma.
Il nuovo
fascismo, qui Padellaro ha ragione, “cresce e prospera sullo sputtanamento
progressivo della politica, sulla distruzione del lavoro, sulle guerre infinite
tra i poveri italiani e gli immigrati ancora più disperati, sulla solitudine
esistenziale”. Ma se tu impieghi tutta la forza della legge per impedire ai
nuovi fascisti di fare propaganda, di organizzarsi, di esibire e diffondere i
loro simboli è molto difficile che possano vincere.
La storia,
ancora una volta, dovrebbe illuminarci: il fascismo in Italia ha vinto non
perché era politicamente e militarmente più forte dello Stato liberale (due
compagnie di carabinieri sarebbero state sufficienti a fare scappare tutti gli
squadristi), ma perché lo Stato liberale, sciaguratamente, decise di non usare la
forza per combatterlo.
Per usare in
modo legittimo ed efficace la forza, lo Stato repubblicano ha bisogno di leggi.
Le leggi Scelba e Mancino, in attuazione della disposizione finale XII della
Costituzione che vieta la ricostituzione sotto qualsiasi forma del disciolto
partito fascista, sono buone. Ma, e qui sono in disaccordo con Marco Travaglio (Il
Fatto Quotidiano, 12 luglio 2017) non bastano per reprimere la propaganda
fascista e nazista.
La proposta
di legge Fiano a integrazione dell’articolo 293 del codice Penale rafforza
saggiamente le leggi esistenti e dunque va approvata il più rapidamente
possibile, e poi attuata con inflessibile rigore, se vogliamo almeno tentare di
sradicare il nuovo fascismo.
Sconfiggere
il nuovo fascismo, non è problema che tocca Beppe Grillo. “L’antifascismo – ha
dichiarato ad un intervistatore – non mi compete”. Questa frase dimostra che
Grillo non ha capito che l’anti-fascismo è il principio che ispira la nostra
Costituzione e il fondamento morale della nostra Repubblica.
Un uomo con
queste idee non può governare e non possono governare quelli che lo seguono, se
condividono la sua indifferenza verso l’anti-fascismo, che poi è indifferenza
verso il fascismo. E pare proprio che sia così, visto che gli M5s hanno
definito “sostanzialmente liberticida” la proposta Fiano. Non capiscono che se i
nuovi fascisti vinceranno, distruggeranno tutte le nostre libertà e dunque è
perfettamente legittimo togliere loro alcune delle libertà garantite a tutti
gli altri cittadini. Prima viene la salvezza della Repubblica, poi la libertà
illimitata di espressione dei gruppi che vogliono distruggerla. Ha ragione
Daniela Ranieri a scrivere che in tutta la vicenda “l’ipocrisia regna sovrana”(Il
Fatto Quotidiano, 11 luglio 2017) e a sostenere che Renzi è diventato
paladino della proposta di legge Fiano per guadagnare consensi e per
approfittare dell’errore dei Cinque Stelle. Ma queste non sono buone ragioni
per non difendere una proposta di legge che renderebbe più forte l’antifascismo
vero. “Si rassegni all’idea che ci siano tanti seguaci del Fascismo" ha scritto
un lettore a Furio Colombo (Il Fatto Quotidiano, 14 luglio, 2017).
Avesse scritto a me avrei risposto che diventerebbero in breve tempo assai
pochi, se lo Stato repubblicano impiegasse contro di loro tutta la sua forza
con la massima intransigenza.
Lecture, The Hebrew University of Jerusalem
Lecture series on political thought and intellectual history
Wed, 21/06/2017 - 16:30 to 18:00
Location: Room 4326, Social Science
Maurizio Viroli
University of Texas-Austin, Univesrità della Svizzera italiana
Machiavelli’s Prophetic PoliticsDiscussant: Nicole Hochner
La nostra repubblica fondata sul disonore
Se un condannato per mafia, come Giuseppe Graviano avesse
dichiarato ai magistrati che ho pesanti responsabilità per attività
terroristiche e sono colluso con la criminalità organizzata, sarei io ad
esigere un contradditorio davanti ad un giudice e, per essere sicuro che la mia
onorabilità fosse agli occhi della
pubblica opinione più chiara del sole, farei di tutto affinché televisioni e
giornali assistessero al dibattimento.
Se un galantuomo e giornalista stimato come Ferruccio De
Bortoli avesse scritto in un libro che ho esercitato pressioni indebite
affinché un importante istituto bancario intervenisse per salvare una banca a
rischio di collasso per la mala gestione di mio padre e di altri, raccoglierei
i miei risparmi per querelare il De Bortoli, e prima ancora che la giustizia
completasse il suo lungo e lento itinere lo sfiderei ad un pubblico
contraddittorio davanti a televisioni e alla presenza di giornalisti giornali
al fine, ancora una volta, di difendere il mio onore.
Se fossi il segretario del PD esigerei dalla Ministra
Maria Elena Boschi che trascinasse De Bortoli davanti alle telecamere e davanti
al giudice, e qualora non accettasse il mio pressante invito la farei cacciare
per difendere l’onorabilità del partito e presentarmi ai cittadini italiani con
le carte in regola per governare la Repubblica.
Per quel che ne so, Silvio Berlusconi non ha chiesto il
contraddittorio con Giuseppe Graviano; Maria Elena Boschi
non ha querelato De Bortoli e non lo ha
sfidato ad alcun pubblico dibattito; Matteo Renzi non ha deferito la Ministra
ai probiviri. Segni inequivocabili, a mio giudizio, che Berlusconi e Boschi
tengono assai poco al loro onore personale, e che Matteo Renzi tiene assai poco
all’onore del partito che ha il dovere di rappresentare, vale a dire di
tutelare e sostenere.
Poco male, se i tre personaggi fossero cittadini senza
pubbliche responsabilità. Ma Maria Elena Boschi è ministra della Repubblica, Matteo
Renzi è segretario del PD e Silvio Berlusconi è presidente di Forza Italia, e
tutti e tre, a titolo e in modi diversi (Berlusconi non può allo stato attuale
delle cose essere eleggibile) molto probabilmente ci governeranno in un
prossimo futuro.
Governare, per chi è come me all’antica, vuol dire
servire la Repubblica nel rispetto rigoroso della Costituzione. La Costituzione
afferma all’art 54: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica
e di osservarne la Costituzione e le leggi. I
cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle
con disciplina ed onore prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”. Domanda ingenua: come possono governare persone che nei
fatti dimostrano di non avere senso dell’onore?
Personalmente considero gli individui senza senso
dell’onore ripugnanti. Non li frequenterei e soprattutto non affiderei loro il
governo della cosa pubblica per la semplice ragione che non avendo senso
dell’onore sono inaffidabili. Temo tuttavia che la maggioranza dei miei concittadini
poco si preoccupi dell’onore dei rappresentanti, come dimostrano infiniti
esempi delle elezioni del passato e pure le recenti elezioni amministrative
dove candidati condannati o indagati sono stati eletti trionfalmente al governo
delle città.
Invito tuttavia i concittadini che dell’onore si
preoccupano poco o nulla a considerare che se avremo al governo persone senza
senso dell’onore il loro esempio contribuirà a devastare ulteriormente quel
poco di etica pubblica che ancora per miracolo sopravvive in Italia fra le
forze dell’ordine, le forze armate i magistrati, gli insegnanti, e i cittadini
comuni. Avremo di conseguenza un paese ancora meno sicuro, ancora più
degradato, ancora più in balia dei prepotenti e degli arroganti di varia specie.
Il 4 dicembre abbiamo
fermato un’immonda riforma costituzionale. Ma i miracoli non si ripetono. Il
primo passo del governo Renzi -Berlusconi con Maria Elena Boschi in posizione
di primo piano sarà una nuova riforma della Costituzione. Se vorranno essere
coerenti con i loro principi e i loro comportamenti dovrebbero sostituire
l’art. 1 con queso: ‘L’Italia è una repubblica democratica fondata sul
disonore’.
Il dovere della politica. L'eredità dei fratelli Rosselli
L’eredità ideale e politica di Carlo e Nello Rosselli è talmente ricca che è impossibile compendiarla in poche righe. Sulla loro lotta e sul loro sacrificio sono state scritte pagine memorabili, e nulla si può aggiungere alle parole che Piero Calamandrei dettò per la loro tomba nel cimitero fiorentino di Trespiano: CARLO E NELLO ROSSELLI / GIUSTIZIA E LIBERTA’ / PER QUESTO MORIRONO / PER QUESTO VIVONO.
I contributi di Nello alla storiografia - dal Mazzini e Bakounine del 1927, al Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano del 1932 - sono noti; ancora più noti quelli di Carlo alla teoria del socialismo, in primo luogo l’aureo libretto Socialismo liberale scritto durante il confino a Lipari nel 1929. Meno noti, credo, sono tre aspetti della loro eredità morale e politica sui quali vorrei fermarmi: la politica fondata sulla religione del dovere; l’antifascismo integrale o morale; l’idea della patria come principio di libertà.
Carlo e Nello avevano appreso la religione del dovere dalla tradizione mazziniana e dall’ebraismo che inspirava gli insegnamenti della loro madre, Amelia Pincherle Rosselli. Fondamento di quella religione è il principio della vita intesa come missione che può esigere anche il sacrificio. Carlo ne era perfettamente consapevole e rivelò la sua consapevolezza in una lettera alla madre del 25 agosto 1928: “Anche tu presto andrai lassù [al cimitero di Paluzza dove vennero traslati i resti del fratello maggiore Aldo morto in guerra il 27 marzo 1916], forse sola, ma accompagnata dai due suoi fratelli, e ti sentirai come sperduta e sgomenta in quel mondo d’eccezione. E la tragedia tua si colorirà di tinte universali per la suggestione del numero, e ti verrà fatto di porti grandi interrogativi anche riguardo alla vita terrena. Ma qualunque sia per essere la conclusione sentirai di aver creato per davvero tre vite, tre forze, tre anime non volgari, che per quanto infime, non saranno numeri vani, non lasceranno l’ambiente così come lo trovarono. Bruceranno forse tutt’e tre, ma per aver cercato di avvicinarsi troppo alla luce”.
Dalla religione del dovere discende l’opposizione integrale e intransigente al fascismo. Scrive Carlo: “l’opposizione – lo ripetiamo per la centesima volta – o è integrale o non è. O si contrappone al fascismo come ideale di un’altra società, di una diversa concezione della vita e dei rapporti umani, o scompare come detrito e manovra abortita. Si resiste a tutti gli insuccessi, e anzi questa stessa resistenza è una prova di forza, finché non si abdica ai principi. Ma l’abdicazione ai principi, senza neppure, non diciamo la certezza, ma la probabilità di un grande successo pratico, equivale ad un suicidio politico.” (Non è l’ora di ripiegare gli ideali’ 24 luglio 1936). Il 19 marzo 1937, nell’articolo ‘Per l’unificazione politica del proletariato’, definì il fascismo non solo feroce reazione di classe, ma “sprofondamento sociale di tutte le classi, di tutti i valori”. Il 26 marzo, parlò della liberazione dal fascismo come liberazione della società tutta quanta, come “umanesimo integrale”, il che voleva dire liberazione dell’individuo per una società di uomini e donne con la coscienza libera.
Insieme al principio della libertà, il fascismo offese anche quell’idea di patria che costituiva l’altro caposaldo della concezione della vita di Carlo e Nello Rosselli. In quanto movimento nazionalistico, scriveva Carlo, il fascismo perseguiva una politica che distruggeva “l’esaltazione religiosa della personalità”, derideva “ogni aspirazione superiore di giustizia, di pace, libertà, fratellanza” e ogni valore universale. Per questi suoi caratteri non era affatto, come pretendeva di essere, l’erede del Risorgimento ma la più completa deformazione di esso. Bisognava dunque contrapporre ad esso un patriottismo che, come quello di Mazzini, considerasse l’emancipazione nazionale quale premessa della fratellanza dei popoli: non un miraggio di potenza, ma un ideale di libertà. L'insistenza dei socialisti ad ignorare "i valori più alti della vita nazionale", sottolineava Carlo Rosselli, era stato un grave errore ideale e politico. Anche se lo facevano per "combattere queste forme primitive o degenerate o interessate di attaccamento al paese", la loro politica finiva col "facilitare il gioco delle altre correnti che nello sfruttamento del mito nazionale basano le loro fortune".
Da queste considerazioni discendeva la convinzione che la rivoluzione antifascista doveva essere intesa quale “dovere patriottico". Per avere un proprio patriottismo, gli antifascisti avevano bisogno di un'idea di patria totalmente diversa da quella dei demagoghi del fascismo. La nostra patria, scriveva Carlo Rosselli, "non si misura a frontiere e cannoni, ma coincide col nostro mondo morale e con la patria di tutti gli uomini liberi". È un valore che si sposa perfettamente con gli altri valori dell'antifascismo: la dignità dell'uomo, la libertà, la giustizia, la cultura, il lavoro. I fascisti esaltavano la nazione e l'Italia; anche gli antifascisti dovevano presentarsi come i difensori della nazione e dell'italianità, ma la loro nazione doveva essere la libera nazione aperta all'Europa e al mondo, e la loro Italia comprendere l'Italia migliore, l'Italia di Mazzini, di Garibaldi, di Pisacane; l'Italia degli italiani civili, dei contadini e degli operai e degli intellettuali che avevano saputo conservare la propria dignità. La lealtà degli antifascisti doveva andare solo a questa Italia e non doveva spaventarli l'accusa di essere dei traditori: "noi possiamo vantarci di essere traditori coscienti della patria fascista; perché ci sentiamo fedeli ad un'altra patria".
So bene che mi fa velo l’infinita ammirazione che ho sempre provato e provo per Carlo e Nello Rosselli, ma più leggo i loro scritti, più sono convinto che mai come ora abbiamo tanto bisogno di loro per poter almeno immaginare un tempo davvero nuovo della storia d’Italia in cui le parole giustizia e libertà siano finalmente vere.
Lo spirito del "NO" batta l'inciucio R.&B.
Qual è il rimedio più efficacie contro la corruzione,
l’inefficienza delle leggi, e l’inaffidabilità dei politici? Ma è ovvio:
mandare al governo uomini poco trasparenti, nemici della
legalità, o del tutto inattendibili. Per
fortuna uomini siffatti da noi abbondano. Due di essi, Silvio Berlusconi e
Matteo Renzi, sono pronti a rinnovare il loro antico sodalizio e ad assumersi l’improba
fatica di riprendere il timone della Repubblica.
Le loro credenziali sono impeccabili. Berlusconi è stato
condannato in via definitiva per evasione fiscale, è ineleggibile e ha evitato il
carcere per gravissimi reati, quali la corruzione di senatori, il finanziamento
illecito di partiti e il falso in bilancio, grazie al vergognoso trucco della
prescrizione ed ha costruito la sua ascesa politica sulle accuse ai giudici di
condannare galantuomini per ragioni ideologiche. Renzi ha tuonato in Senato il
19 aprile 2016 contro la “vera e propria barbarie di giustizialismo", e
ha dato a tutti gli italiani un mirabile esempio di serietà quando ha affermato
che se avesse perso il referendum sulla riforma costituzionale avrebbe
abbandonato la politica. Invece è di nuovo sulla cresta dell’onda, capo
indiscusso del PD, affamato di governo come e più di prima. Domanda innocente ai
suoi seguaci: come fate a fidarvi di un individuo così? O lo ammirate proprio perché è del tutto
inaffidabile?
Cosa
farà un governo Renzi - Berlusconi è fin troppo facile immaginare, in base al
vecchio adagio che la volpe perde il pelo ma non il vizio: mano libera ai
corrotti e ai corruttori, generosa profusione di menzogne e demagogia, mani
legate ai magistrati che indagano sui politici. Se non fosse una tragedia per
la Repubblica, sarebbe perfino divertente assistere ad una competizione fra Renzi
e Berlusconi su chi sa meglio mentire e
meglio ingannare gli italiani.
La prova generale dell’alleanza di governo Renzi - Berlusconi
l’abbiamo già vista il 16 marzo 2017 quando Forza Italia e una bella fetta di PD
hanno votato insieme per salvare Augusto Minzolini – condannato in via
definitiva per corruzione – dalla decadenza dal seggio parlamentare prevista
dalla legge Severino: uno scempio vergognoso della legalità da fare fremere di
sdegno ogni coscienza retta. Ma il primo obiettivo della rinnovata santa
alleanza sarà di sicuro la Costituzione Repubblicana che entrambi detestano:
l’uno perché avverte in essa odor di comunismo; l’altro perché la ritiene vecchia
e incompatibile con la sua visione dell’azione di governo come gara di
velocità. Berlusconi riesumerà il testo della sua riforma bocciata con il
referendum del 25 e 26 giugno 2006; Renzi rispolvererà la sua riforma bocciata
dal referendum popolare del 4 dicembre. In un batter d’occhi identificheranno i
molti punti in comune e ci rifileranno un’altra riforma che permetterà a chi
governa, cioè a loro stessi, di governare senza intralci istituzionali.
Di
chi sarà la colpa, se tutto questo si avvererà? Ma di Marco Travaglio,
naturalmente, che ha guidato la campagna per il NO. Ce lo ha spiegato Roberto
Dalimonte: “[Marco Travaglio] mi ha reso famoso, almeno tra i miei studenti e
colleghi. L’ultima volta che ci siamo incontrati, in questa stessa trasmissione,
io mi sono inventato ‘il paradosso di Travaglio’. E’ il paradosso di
chi, votando NO al referendum costituzionale del 4 dicembre, ha riportato
in auge Berlusconi”.
Sfugge
all’illustre giurisperito che la Costituzione non decide chi governa; stabilisce
soltanto chi sceglie i governanti e i limiti entro i quali i governanti possono
legittimamente governare. Chi governa lo scelgono gli elettori con i loro
libero voto. Se Berlusconi ottenesse la maggioranza dei voti governerebbe sia
con la Costituzione in vigore sia con quell’oscenità che abbiamo respinto il 4
dicembre. E governerà anche quando lo chiamerà Renzi, se avrà la maggioranze
dei voti. Se Berlusconi governerà la colpa sarà dunque o degli elettori o di
chi lo vorrà come alleato, ovvero di Renzi.
Potremmo
consolarci con la considerazione che non voteremo più con l’incostituzionale
Italicum ma con un sistema proporzionale. Ho sempre sostenuto che il
proporzionale è migliore di qualsiasi sistema maggioritario perché offre
migliori garanzie che il Parlamento rappresenti gli orientamenti politici dei
cittadini. Purtroppo, ci ammonisce Andrea Pertici (Il Fatto, 2 giugno, 2017),
il proporzionale che Renzi e Berlusconi stanno cucinando ci regalerà un
parlamento di nominati, in palese contrasto con il voto del 4 dicembre, quando
i cittadini hanno espresso la volontà di scegliere i propri rappresentanti. Non sarebbe meraviglioso se
lo spirito del 4 dicembre si manifestasse anche alle prossime elezioni e ci
liberasse, per sempre, di Renzi e di Berlusconi? Troppo bello per essere vero.
viroli@princeton.edu