Lo slogan dominante della campagna elettorale di Matteo
Renzi è che il suo PD è l’unico argine contro i populismi di Berlusconi e della
Lega da una parte, e del Movimento 5Stelle dall’altra. Lo ha già ribadito più
volte e lo ripeterà ad nauseam fino
alla vigilia del voto, forse perché ha sentito dire che l’antica metafora
dell’argine è efficace: evoca una salda difesa contro inondazioni ed alluvioni
che tutto travolgono e tutto distruggono.
Fin qui le parole. Come sempre avviene quando si tratta
dei Renzi, i fatti sono altri. Anche l’ultima esternazione in ordine di tempo,
il tentativo di presentarsi come fustigatore dell’establishment scagliandosi contro la conferma di Ignazio Visco alla
guida di Bankitalia perché il PD deve stare “con i risparmiatori” e non “con i
salotti della finanza”, mostra inequivocabilmente irresponsabilità politica,
scorrettezza nei confronti del Presidente del Consiglio e disinteresse per gli
equilibri istituzionali e dunque è da manuale di populismo.
‘È Berlusconi il populista’, denuncia Renzi. Verissimo.
Ma da quando Renzi è assurto alla popolarità, ha dimostrato una spiccata
propensione a stringere accordi con Berlusconi, non a combatterlo. L’allora sindaco
di Firenze, si è recato in visita ad Arcore (dicembre 2010) per incontrare
Berlusconi, presidente del Consiglio, presso la di lui dimora privata,
dimostrando poco rispetto per le corrette forme istituzionali. Diventato
segretario del PD, si è affrettato a stringere col suddetto Berlusconi, nel
frattempo condannato in via definitiva per frode fiscale (maggio 2013), il ‘patto
del Nazareno’ (18 gennaio 2014). Poche settimane or sono ha rinnovato l’alleanza
col ‘maestro’ e con l’altro schieramento populista, la Lega, per far approvare
un’oscena legge elettorale disegnata per ritornare al governo con Berlusconi. Davvero
il modo migliore per arginare la marea populista.
Caratteristica dei capi populisti è l’abilità di
conquistare il potere tuonando contro la classe al potere, senza distinguo
alcuno, rea di non capire le legittime esigenze del popolo. Da questo punto di vista
Renzi ha credenziali di prim’ordine. Egli deve la sua ascesa allo slogan della
rottamazione nei riguardi non solo dei vecchi dirigenti del PD ma di tutta la vecchia
classe politica (per lui Berlusconi era un “nonno”).
Per poter
accontentare la voglia del popolo di avere un capo vero, il capo populista non
può tollerare che il suo partito abbia minoranze interne combattive. Detto
fatto: ecco il Renzi muovere con il “lanciafiamme” (8 giugno 2016) contro i
nemici interni per essere certo di avere attorno soltanto docili sostenitori e
servi sciocchi.
I capi populisti
prosperano istigando e attizzando l’odio del popolo per i politici. Renzi ha
applicato la lezione alla perfezione proclamando di mandare a casa un buon
numero di parlamentari con un linguaggio da far fremere di gioia il popolo più
becero: “uno, due, tre, morto” (31 maggio 2016). Dietro gli slogan e le battute
ad effetto, però, si insinua qualcosa di ben più pericoloso: il tentativo di
indebolire i corpi intermedi di rappresentanza, quali sono i partiti, ai suoi
occhi un fastidioso ed inutile orpello.
Bersaglio
dei capi populisti sono sempre stati gli intellettuali colpevoli anch’essi, al
pari dei politici, di non sostenere i veri interessi del popolo. Richard Nixon coniò
per il raffinato politico e intellettuale Adlai E. Stevenson l’epiteto “testa
d’uovo”. Renzi, ha notevolmente arricchito il vocabolario populista rovesciando
sugli intellettuali che si opponevano alla sua riforma costituzionale una
variegata sequela di epiteti: gufi, professoroni, rosiconi, parrucconi, soloni
e altri ancora. Merita una menzione nelle antologie del pensiero populista.
Nella
commedia I cavalieri, Aristofane
tratteggia in maniera insuperabile il principio fondamentale del populismo:
“guidare il popolo non è cosa per uomini colti e di buoni costumi, ma per gli
ignoranti e gli spudorati”. Anche da questo versante Renzi ha le carte in
regola. Ogni volta che parla dimostra una conoscenza approssimativa della
lingua italiana (per non parlare di quelle straniere) e della logica. Anche con il diritto costituzionale e con la
storia non va proprio forte: laureato in giurisprudenza e grande riformatore
costituzionale, ha scoperto la norma transitoria che dice “così non va bene”.
Quanto alla
spudoratezza il Renzi ha superato tutti. Soltanto una persona priva del sano
sentimento della vergogna poteva tradire un compagno di partito e pronunciare la
frase “Enrico stai sereno” mentre tesseva trame per spodestarlo, o arrancare
verso palazzo Chigi dopo aver dichiarato più volte che se avesse perso il
referendum avrebbe lasciato la politica; la politica, si noti, non la carica di
presidente del Consiglio.
Se
vogliamo salvarci dal populismo, dunque, dobbiamo liberarci di Renzi, non
richiamarlo al potere insieme a Silvio Berlusconi.
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