Maestri dimenticati. Guido Calogero, la fede laica nella democrazia.



In tempi come questi, così tristi per povertà d'idee, pochezza degli uomini politici, corruzione dei costumi, è utile, se non altro per immaginare mondi diversi, cercare maestri dimenticati. Un buon inizio è Guido Calogero, filosofo e giurista, che conosce grande fortuna nel dopoguerra presso le più importanti università del mondo. Muore a Roma nel 1986. Oggi è conosciuto da pochi, amato da pochissimi.

Nasce a Roma nel 1904 da padre siciliano e madre marchigiana. Si laurea in Lettere alla Sapienza ad appena ventuno anni. I suoi interessi principali di quel periodo sono la filologia classica e la poesia prima, la filosofia antica poi. A ventitré anni ottiene la libera docenza in storia della filosofia antica e a ventisette vince la cattedra universitaria. Nel 1937 si laurea anche in Giurisprudenza. Da quel periodo la sua ampia produzione scientifica è strettamente connessa con il suo impegno politico, civile e sociale. Giusto settant'anni or sono, nel 1945, Guido Calogero pubblica a Roma Difesa del Liberalsocialismo. Punto di partenza della sua riflessione è il Primo manifesto del liberalsocialismo, elaborato con Aldo Capitini a partire dal 1937 e redatto nel 1940. Tesi fondamentale di Calogero è che la prospettiva politica e morale per un'Italia che volesse rinascere dalla tragedia del totalitarismo fascista, doveva essere una saggia alleanza fra il miglior liberalismo e il miglior socialismo. Il cuore del liberalsocialismo si riassume nell'idea che libertà e giustizia sociale sono solidali tanto da costituire un concetto unitario che sta alla base di un'idea di uomo "irriducibile a qualsiasi entità collettiva, esaltato nella sua concreta individualità, teso a valorizzare gli altri come persone".
Socialismo e liberalismo necessitano l'uno dell'altro, a tal segno che l'uno senza l'altro è votato alla sconfitta: il liberalismo perché non sa raccogliere e soddisfare le esigenze di uguale dignità avanzate dai poveri, dagli esclusi, dagli sfruttati; il socialismo perché non dispone di una matura teoria dello Stato. Per noi che viviamo in un'Italia senza veri liberali né veri socialisti (a parte poche nobili eccezioni), le parole di Calogero suonano come un monito che purtroppo nessuno ha saputo raccogliere. La diffusione, se pur clandestina, di questo scritto e l'intensa attività universitaria (a Pisa è stato maestro di Carlo Azeglio Ciampi) gli procurano la sospensione e la destituzione dalla cattedra e, dal gennaio del 1942 al luglio del 1943, il carcere e il confino. Ma neppure queste gravi sanzioni lo fanno recedere dalle sue convinzioni. Mette in pratica ciò che insegna: "Opera tanto senza indugio quanto senza fretta, come se dovesse morir subito e come se non dovesse morir mai", partecipa alla breve vita del Partito d'Azione (1943-1947); aderisce poi al Partito Socialista nell'area del quale torna dopo che, alla metà degli anni '50, è fra i fondatori del Partito Radicale.
Nei suoi scritti possiamo trovare quella che considero la più chiara ed eloquente definizione della fede laica, la fede delle persone che credono negli ideali che la coscienza indica con la medesima forza di coloro che credono in Dio, e come i veri credenti in Dio sono capaci di soffrire e di sacrificarsi per la loro fede. "Del resto - scrive ne La scuola dell'uomo (1939) - anche l'uomo che non crede in Dio sente poi la sua morale come una religione, per quanto non ami abusar troppo di questo termine. La sente come una religione, perché la sente come qualcosa su cui è pronto a discutere, ma con la certezza che nessuno più lo convertirà. E ormai invecchiato in quella fede; ha parlato con tanti uomini; ha messo le sue idee a ogni rischio e a ogni paragone. Sa bene che la sua forza di persuasione è scarsa, che i suoi argomenti vanno di continuo rinnovati, che da ogni interlocutore egli ha da imparare qualche cosa. Ma ciò non tocca più la fermezza della sua fede. In questo senso, egli appartiene a una chiesa, che non ammette tradimento di chierici. Lavorare per questa chiesa, favorire l'incremento dei suoi fedeli, è il più adeguato mestiere dell'uomo. In questo lavoro, è il pregio e il prezzo della sua intera esistenza". In queste sue parole c'è l'eco della religione della libertà che ha ispirato i militanti migliori dell'antifascismo. Anche quella della religione della libertà una tradizione ideale che abbiamo dimenticato, col risultato che poche oggi sono le persone che sanno che cos'è la vera libertà morale e sanno vivere come cittadini liberi. In L'abbiccì della democrazia, spiega che "la democrazia non è il paese degli oratori, è il paese degli ascoltatori". E aggiunge che l'ascolto deve essere attento, interessato e "guidato da sincera curiosità" e deve presupporre che il nostro interlocutore possa portare ragioni più convincenti di quelle che portiamo noi. Ma per Calogero ancora non basta. L'uomo altruista (e quindi sociale) nel dialogo non solo deve ascoltare l'altro ma aprirsi a lui, alla sua presenza. La volontà di dialogo non è soltanto volontà di parlare e ascoltare, ma anche "volontà di tener conto della presenza altrui", sia quando conversiamo sia quando preferiamo restare in silenzio.
Calogero è filosofo del dialogo, non inteso come parlare disordinato di un gruppo di persone, scontro di dogmi, reciproco ignorarsi di relativismi assoluti, ma come conversazione ordinata dove chi ascolta ha nei confronti di chi parla un atteggiamento di accoglienza. Il dialogo è necessario per sentire il dolore dell'altro come nostro dolore, come cosa di cui ci importa e "consente di orientare la mia azione non più soltanto ai fini dell'interesse mio, ma anche a quello dell'interesse suo". Importante è anche "non dare mai l'impressione di prendere sul serio soltanto le cose proprie. Anche la migliore delle idee dev'essere messa sul tappeto così come se potesse essere la peggiore delle carte. Niente importa quanto l'agevolare la possibilità di aver torto. Perché le idee sono sacre, ed è sacro l'aver ragione, ma nessuna cosa è tanto sacra quanto togliere ogni ostacolo estrinseco a che gli altri possano convincerci che hanno invece ragione loro".
Questa pedagogia civile, secondo Calogero, si deve diffondere soprattutto attraverso la scuola pubblica e laica, luogo di educazione allo spirito critico, al dovere di limitare la propria libertà per lasciar spazio all'Altro, al dialogo, al confronto serio,serrato e leale delle diverse idee per avere cittadini liberi, capaci di assoluta autonomia e di strette relazioni. Poiché crede nella scuola, si impegna in prima persona e, insieme a sua moglie Maria Comandini, fonda nel 1947 la prima scuola laica per assistenti sociali. Convinto che il dialogo sia l'anima della vita civile e fondamento della democrazia, Calogero non tollera la menzogna. La definisce "il delitto più disonorevole": "Io non debbo ingannare proprio perché debbo intendere e farmi intendere. La menzogna è la negazione dello spirito stesso del dialogo [...] Perché si può prendere a pugni un amico ed esserne scusati sportivamente […] ma se si mente, se lo si inganna, se si falsa la verità per i propri fini […] allora si lede qualcosa che sta al disopra di tutti i contrasti ideologici e politici allora si perde la faccia e si merita di essere cacciati fuori". E poi dicono che la storia non serve.

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