Era profonda l’amicizia che legava Norberto Bobbio (1909-2004) e Piero Calamandrei (1889-1956). Bobbio, più giovane di vent’anni, riconosceva in Calamandrei un maestro negli studi giuridici per la perizia tecnica, per la vastità della dottrina, per il rigore del ragionamento. Maestro soprattutto perché non intese il diritto come pura tecnica, dottrina o ragionamento logico, ma quale mezzo per servire l’ideale della giustizia. Qui è d’obbligo citare direttamente Bobbio: “Il significato profondo della vita di Calamandrei, ciò che rese la sua figura umana così affascinante, si può riassumere brevemente in queste parole: passione e lotta per la giustizia. […] L’ideale di giustizia, costantemente perseguito, lo fece esser presente con cuore appassionato e mente lucidissima dovunque vi fosse un sopruso da denunciare, un torto da riparare, un debole da proteggere. […] Purché non si dimentichi che la giustizia cui egli mirava non era accigliata ma sorridente, volta più verso l’indulgente comprensione che verso la severità: era una giustizia in cui la bilancia contava più del gladio e sui due piatti della bilancia una rosa pesava più di un grosso volume di dottrina”.
Bobbio definì Calamandrei un “giurista moralista”. Voleva dire che per Calamandrei l’opera del giudice e dello studioso di diritto doveva sempre essere rischiarata dalla devozione al fine di portare pace e giustizia fra gli esseri umani. Con una delle sue indimenticabili immagini, Calamandrei paragonò il giudice che ha dimenticato il contenuto morale della sua missione al sacerdote che ha perso la fede e officia per stanca abitudine: “Il giudice che si abitua a render giustizia è come il sacerdote che si abitua a dir messa. Felice quel vecchio parroco di campagna che fino all’ultimo giorno prova, nell’appressarsi all’altare col vacillante passo senile, quel sacro turbamento che ve lo accompagnò prete novello alla sua prima messa; felice quel magistrato che, fino al giorno che precede i limiti di età, prova, nel giudicare, quel senso quasi religioso di costernazione, che lo fece tremare cinquant’anni prima, quando, pretore di prima nomina, dové pronunciare la sua prima sentenza”. Moralista anche perché Calamandrei era severo critico dei giudici insensibili al fatto che le loro decisioni condizionano la vita di esseri umani: “I giudici, che tengono con indifferenza [gli] incartamenti in attesa sul loro tavolino, sembra che non si ricordino che tra quelle pagine si trovano, schiacciati e inariditi, i resti di tanti poveri insettucci umani, rimasti presi dentro il pesante libro della giustizia”. Bobbio ammirava Calamandrei anche per il suo antifascismo intransigente. Al maestro fiorentino dedica parole simili a quelle che in altra occasione scrisse per il suo compagno di liceo, Leone Ginzburg, implacabile oppositore al fascismo, torturato a morte dalle SS nel febbraio 1944. Quando afferma che fin dall’inizio “Calamandrei fu antifascista fermissimo, intransigente, sprezzante”, che “fin dal 1942, fu fra i fondatori del Partito d’Azione, e con l’autorità, l’esempio, la parola, gli atti, uno degli animatori della Resistenza italiana”, Bobbio muove anche, implicitamente, un rimprovero a se stesso per non essere riuscito a seguire fino in fondo e sempre gli esempi di Ginzburg e di Calamandrei. Entrambi militanti del Partito d’Azione, vissero il loro impegno come dedizione all’idea di una democrazia fondata sui valori della libertà e della giustizia, nella convin - zione che la libertà civile e politica senza giustizia sociale degenera in privilegio, mentre la giustizia sociale senza libertà civile e politica diventa totalitarismo. Negli anni 50 furono critici severi del sistema di potere instaurato dalla Democrazia Cristiana, e critici altrettanto severi dell’ideologia e della politica del Partito comunista. Non furono mai anticomunisti. “Avendo scelto la sua parte a fianco degli umili contro i prepotenti – scrive Bobbio – Calamandrei non abbandonò mai il campo, non tollerando faziose discriminazioni tra partiti che rappresentavano in diversa guisa e con diversi intenti la massa dei diseredati, la moltitudine di coloro che avevano diritti, a lungo calpestati, da rivendicare”. Criticò senza sottintesi lo Stato comunista, la dottrina e i metodi del Partito comunista in Italia, ma non accettò la cruda alternativa o di qua o di là: “Non confuse l’intransigenza con l’intolleranza, la fedeltà alle proprie idee con la faziosità, la sincerità verso di sé con la falsa purezza di chi non vuole farsi contaminare, il non essere comunisti con l’anticomunismo”. Bobbio rimase fedele per tutta la vita a questi princìpi.
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