Eravamo fortunati quando potevamo
contare su maestri come Norberto Bobbio e Giovanni Sartori. Restano i loro
scritti e, per chi li ha conosciuti ed è stato loro allievo e amico, lettere e memorie.
Gli uni e le altre possono aiutarci a riscoprire il loro insegnamento. Può
darci una buona mano in questa impresa il libro che Gianfranco Pasquino,
allievo prima e amico poi dell’uno e dell’altro, ha da poco pubblicato: Bobbio e Sartori. Capire e
cambiare la politica (Bocconi Editore). Quando l’allievo scrive dei suoi maestri, cade facilmente
nel peccato (veniale) di esaltare le loro virtù e tacerne i vizi, trattare
soltanto delle pagine chiare delle loro vite, e sorvolare su quelle oscure. Non
è il caso di Pasquino, incline, se mai, al difetto (scusabile) di troppa
severità.
A BOBBIO, con il quale si laureò il 10 marzo
1965, Pasquino imputa, ad esempio, “qualche peccato di eclettismo”; l’“alquanto
imbarazzante lettera”(ma lo era davvero?) indirizzata a “S. E. il Cavalier
Benito Mussolini l’8 luglio 1935”; il troppo “zelante patriottismo costituzionale
”; la poca attenzione a “critiche significative al suo Destra e sinistra”; una “inadeguata
comprensione del problema” Berlusconi (secondo me Bobbio aveva capito benissimo,
soprattutto quando definì Forza Italia un partito personale); l’assenza “davvero
flagrante”, anche per colpa di chi scrive, del discorso istituzionale nel Dialogo intorno alle Repubblica; l’aver attribuito alla
democrazia “promesse irrealistiche” e poi dire che “non si potevano mantener e”;
il giudizio “non sufficientemente severo su Lotta Continua”; il troppo
scetticismo (a mio avviso lodevole), nei confronti di possibili riforme della
Costituzione. A Sartori,che ebbe come professore al Centro Studi di Politica Comparata
d Firenze, fra 1968 e 1969 e con il quale condivise prima l’impegno in
redazione (1971-1977), poi la condirezione della Rivista Italiana di Scienza
Politica, Pasquino
rimprovera di aver espresso in Homo videns ( 1997) preoccupazioni forse esagerate (per me sacrosante)
relative alla “mutazione genetica indotta dalla televisione da homo sapiens a homo videns”; di non essersi posto “il problema
della diseguaglianza sostanziale fra i cittadini che non hanno i mezzi
economici per fare […] attività politiche e coloro che, invece, ne dispongono”;
di non aver fatto seguire la sua giusta critica ai “perfezionisti”(chi propone il
vincolo di mandato per i rappresentanti) una “parte propositiva concernente i
miglioramenti auspicabili, possibili, magari già in corso nelle democrazie
reali”. Pasquino è particolarmente severo verso “il culto di Bobbio”. Un culto,
annota, diffuso anche per responsabilità dello stesso Bobbio. Più deprecabili
ancora sono state le forzature del suo pensiero a fini di affermazione politica
personale. Pasquino avrebbe potuto citare in proposito l’indegno (per la
povertà intellettuale) e offensivo (alla memoria di Bobbio) commento di Matteo
Renzi alla riedizione (2014) di Destra e Sinistra che l’editore Donzelli ha promosso con pessima operazione
editoriale e politica. Sartori non ha avuto la sfortuna di avere dei “sartoriani”
e il suo pensiero è stato sottoposto a meno deformazioni.
MAI IDEOLOGI di regime, mai servi di politici
potenti, Bobbio e Sartori furono intellettuali militanti che misero la loro
chiarezza intellettuale e la loro competenza al servizio dell’impegno civile.
Oltre agli articoli sulla Stampa e sul Corriere della Sera, e alle conferenze, scrissero libri che hanno lasciato un’impronta
profonda (e suscitato le ire dei politici corrotti, come Craxi, che accusò
Bobbio di essere un filosofo “che aveva perso il senno”). Ebbero tuttavia un
diverso rapporto con l’attività politica. Bobbio partecipò alla Resistenza e
militò in Giustizia Libertà, nel Partito d’Azione, nel Psu, nel Psi di
Francesco De Martino e fu Senatore a vita (dal 1984). Sartori si tenne più
lontano dalla milizia politica in senso stretto. Bobbio aveva più lo stile dell’umanista
che dello scienziato; Sartori più dello scienziato che dell’umanista. Mentre lo
scienziato limita la sua indagine a un ambito ben definito, l’umanista cerca di
capire la condizione umana in tutti i suoi aspetti. Nella bibliografia di
Bobbio troviamo raccolte di scritti sui classici, ricordi di intellettuali e
militanti, splendide riflessioni sulla vecchiaia e sulla mitezza e alcuni studi
sulla scienza politica; in quella di Sartori molti studi di scienza politica e
una minore mole di riflessioni sui grandi filosofi, sugli intellettuali e sull’esperienza
umana. Possiamo definire Bobbio e Sartori due classici? Intendo per classico, con
Bobbio, un pensatore che “a) è considerato come l’interprete autentico e unico
del proprio tempo, la cui opera viene adoperata come uno strumento
indispensabile per comprenderlo; b) è sempre attuale, onde ogni età,
addirittura ogni generazione, sente il bisogno di rileggerlo e rileggendolo di
interpretarlo; c) ha costruito teorie modello di cui ci si serve continuamente per
comprendere la realtà, anche la realtà diversa da quella da cui le ha derivate
e a cui le ha applicate. Pasquino su Bobbio è cauto, su Sartori non si
pronuncia. Per me Bobbio e Sartori hanno già meritato lo status di ‘classici’,
senza attendere il giudizio dei posteri. Non vedo come sia possibile capire il Novecento,
o la democrazia, o la degenerazione berlusconiana o i partiti senza le loro
opere. Ma più ancora della loro eredità scientifica, ha un valore inestimabile la
loro lezione di rigore intellettuale, riflesso del loro rigore morale. Dell’uno
e dell’altro abbiamo bisogno per tentare di arginare il degrado civile che è
sotto gli occhi di chiunque abbia ancora un briciolo di senno. Proporre gli
esempi di Bobbio e di Sartori, come ha fatto Pasquino, è un primo e importante passo
nella giusta direzione.
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