Quando
uomini e donne s'impegnano nell'azione politica e sociale, lo fanno guidati da passioni
generose: l'amore della libertà, la compassione per i deboli, i poveri, gli
oppressi, lo sdegno contro l'ingiustizia; o da passioni maligne: l'odio, il di
sprezzo per chi è diverso da noi per razza, cultura e religione, l'avidità di
guadagno, l'ambizione sfrenata per il potere. Anche se abbondano esempi di persone
che agiscono stimolate da nobili passioni, il nostro tempo è dominato dalle passioni
meschine. Se non cambia il modo di sentire, non ci sarà alcun nuovo inizio, non
sarà possibile alcuna iniziativa politica e sociale capace di cambiare modo di
vivere.
PAUL
GINSBORG e Sergio Labate, nel loro libro Passioni e politica(Einaudi), raro esempio di felice collaborazione fra uno
storico e un filosofo, puntano il dito contro il neoliberismo, responsabile non
soltanto di nefaste politiche economiche e di insani disegni di riforme
costituzionali (vedi l'ultima che abbiano respinto) ma anche di un vero e
proprio "governo della nostra vita intima" (p.8). Se ci chiediamo – scrivono
gli autori –"perché la maggior parte delle persone accetta politiche che un
tempo avrebbe rigettato collettivamente, ori tiene necessario il restringimento
di buona parte dei diritti, o che sia naturale introdurre un principio di
competizione fin nelle aule abitate dai nostri figli, una risposta scomoda ma
sincera potrebbe essere questa: perché noi vogliamo competere, vogliamo
arricchirci, vogliamo pensarci come imprenditori di noi stessi" (p. 8) Ambizione,
brama di accumulare ricchezza, desiderio incontenibile di apparire e di essere
ammirati sono passioni che nascono dalla vita sociale stessa, come hanno
spiegato i filosofi morali e politici, e come sanno bene Ginsborg e Labate. Ma è
fuori di dubbio che l'egemonia
intellettuale neoliberista le rafforza, mentre relega ai margini le passioni
alternative. Con la conseguenza che, poveri di passioni comuni (l’ambizione e l’avarizia
sono rigorosamente individuali), siamo “incapaci di elevare il disagio
individuale in conflitto politico”, di “trasformare la nostra legittima esigenza
di riconoscimento individuale in pretesa che valga per tutti, in desiderio comune
”. Per rinascere, la democrazia deve dunque essere capace di sviluppare una “nuova
affettività e nuove passioni”. (p. 11)
FINALMENTE, è
il caso di dire. Da anni la filosofia politica internazionale insiste sul ruolo
centrale delle passioni. Martha Nussbaum, in passato alfiere del cosmopolitismo
razionale, ha pubblicato, per citare un esempio soltanto, un libro dal titolo Political
Emotions. Why Love Matters for Justice (2013) dove sostiene addirittura che
se vogliamo rendere efficace l’azione di riforma sociale dobbiamo riscoprire le
passioni e fra queste l’amore della patria del vecchio Giuseppe Mazzini. A
onore del vero, iniziatore della riscoperta delle passioni politiche è stato
Remo Bodei con il suo Geometria delle passioni. Paura, speranza, felicità,
filosofia e uso politico (1991). Ma nel nostro dibattito culturale di
passioni si parla assai poco e l’attenzione è prevalentemente rivolta ai
calcoli politici e alle questioni istituzionali e elettorali, con il risultato
di provocare un sempre maggior disinteresse per la politica (ad eccezione naturalmente,
di quanti vi si dedicano per interesse). Con Gustavo Zagrebelsky, gli autori sottolineano
che non basta insegnare che cos ’è la democrazia, ma bisogna insegnare ad
essere democratici, cioè “ad assumere nella propria condotta la democrazia come
ideale, come virtù da onorare e tradurre in pratica”. Aggiungono che per
aiutare la democrazia a superare i mortali pericoli che la minacciano, “dall’assetto
istituzionale alla dislocazione della sovranità, dalla subordinazione al
governo economico alla tendenza oligarchica che aumenta vertiginosamente le
disuguaglianze” è “sempre più necessario tornare a una pedagogia repubblicana, capace
di insegnarci ad essere democratici, innanzitutto”.
ANCHE QUESTE sono
parole sante che indicano ai pochi politici seri rimasti e ai cittadini la
strada giusta. Senza pedagogia repubblicana niente passioni civili. Senza passioni
civili niente vita da cittadini ma soltanto vita da servi sotto il comando di
padroni della repubblica più o meno arroganti, più o meno repellenti. Non ci
sono altre possibilità. È una strada dura da percorrere. Le passioni civili
hanno da secoli dovuto lottare contro formidabili passioni contrarie, prima fra
tutte l’attaccamento perverso alla propria famiglia contro ogni sentimento di
rispetto per la comunità. In anni più recenti la classe politica si è
attivamente impegnata a giustificare la corruzione che nasce dalla brama di
potere. Pietra miliare della pedagogia antirepubblicana è il ripugnante
discorso di Bettino Craxi del 3 luglio 1992. L’accanimento continua, come
dimostrano gli osceni pellegrinaggi a Hammamet. Ma è l’unica strada seria. Per
fortuna, lo ha dimostrato il referendum del 4 dicembre, ci sono anche migliaia di
ottimi maestri di passioni civili.
Le persone meschine sono elette da persone altrettanto meschine. Mi piacerebbe sapere cosa pensa di una patente per l'elettore da ottenere superando dei test.
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