“Sul
referendum costituzionale è calato un silenzio mediatico e politico. Nessuno ne
parla più, si preferiscono altri temi. Ma io mi chiedo: cosa essere più
importante? ”. Professore emerito di Teoria politica all’Università di
Princeton, negli Stati Uniti, Maurizio Viroli è stato uno dei primi politologi
ad abbracciare la battaglia del No al referendum sulla riforma costituzionale approvata
dal governo di Matteo Renzi. E, seppur molti impegnato negli Usa, sta dando una
mano ai comitati per il No.
Professore, il tema sembra essere
passato in secondo piano…
Questo
silenzio non è casuale. I promotori della riforma hanno tutto l’interesse a
tenere bassa l’attenzione: meno se ne parla meglio è. Anche perché se i
cittadini conoscessero a fondo la riforma, il No avrebbe più possibilità di
vittoria. Invece sembra che solo il 7 per cento degli italiani sappia di cosa
si tratta. Questo silenzio è deplorevole: su una questione così importante
tutti hanno il diritto di ricevere più informazioni possibile.
Al momento non c’è nemmeno una data. Si
parla dell’autunno, di ottobre, ma il giorno preciso ancora non c’è.
Il
fatto che non ci sia ancora una data certa mi sembra una chiara tattica del
governo per danneggiare coloro che si oppongono alla riforma. Senza una data è
più difficile organizzare un’opposizione, offrire tempestive informazioni ai
cittadini e mettere in campo una seria mobilitazione dell’opinione pubblica. Perché
non è importante solo a chi si indirizza il messaggio, ma anche i tempi della
campagna referendaria.
I comitati per il No, comunque, sono in
campo…
Chi si
sta impegnando in questa battaglia ha tutta la mia stima e anch’io cercherò di
dare il mio contributo. Ma noi studiosi dobbiamo fare un piccolo sforzo nell’utilizzare
concetti semplici e accessibili a tutti, in modo che i cittadini possano
comprendere con precisione la portata negativa di questa riforma. Insomma, niente
tecnicismi.
Il presidente del Consiglio ha legato
la sua permanenza a Palazzo Chigi all’esito del referendum. Che ne pensa?
Aver
politicizzato la questione è un’arma a doppio taglio. I nemici del premier,
anche interni al Pd, potrebbero sfruttare il voto referendario per tentare di
far cadere il governo Renzi. La Carta, però, è molto più importante di
qualsiasi governo. Questa riforma parte con un vulnus: non doveva essere
proposta dall’esecutivo ma dal Parlamento, che tra l’altro ha solo il potere di
revisionare la Costituzione, non di riformarla.
A chi spettava il compito di riformare
la Carta?
A un’assemblea
costituente, con piena legittimità come quella del 1946-1947. La Costituzione si
cambia all’interno di un terreno di gioco neutrale, non per iniziativa del governo,
che può distribuire posti e prebende per portare a casa i voti necessari alla
riforma, come si è visto con l’operazione Verdini.
Cosa non le va giù del ddl Boschi?
Il
fatto che offende la dignità dei cittadini. Si è fatto passare il concetto che
la Carta va riformata perché il processo legislativo è troppo lento, ma è falso.
Renzi stesso va sbandierando che questo è il governo che ha fatto più riforme
nella storia della Repubblica. Bene o non è vero, oppure, se lo è, si può
benissimo legiferare con la nostra Costituzione. L’esecutivo punta tutto sulla
velocità, ma il processo legislativo non è una gara a chi fa più leggi nel
minor tempo.
Secondo lei come andrà a finire?
La
vittoria del No è difficile, perché è passata l’idea che il bicameralismo è
sbagliato, che la Costituzione è vecchia, che i senatori sono inutili, veri e
propri luoghi comuni che offendono l’intelligenza delle persone e sfruttano il
sentimento dell’antipolitica. I cittadini considerano sempre più i politici una
casta: così mandare a casa i senatori è per molti quasi una vendetta del popolo
contro il Palazzo. Ma se tutti noi sappiamo trovare le parole giuste, allora io
credo che il miracolo della vittoria del Sì sia possibile. E il concetto sul
quale insisterei è che bisogna votare ‘No’ perché abbiamo una dignità.
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