In un incontro svoltosi il 6 marzo 2002
nell’Aula Magna dell’Ateneo di Milano Bicocca, Sylos Labini ha raccontato con
queste parole la vicenda delle sue dimissioni dal comitato tecnico scientifico
del ministero del Bilancio, nel 1974
: “dal 1957
al 1970 avevo insegnato a Catania e avevo imparato parecchie cose sulla mafia. Avevo
sentito che Salvo Lima aveva a proprio carico quattro inchieste di
autorizzazione a procedere. Allora, in base al metodo empirico che cerco sempre
di seguire, mi documentai e trovai quelle quattro richieste. Erano reati in
fondo modesti, rispetto a quelli che gli avevo sentito attribuire (ma per i
quali non avevo le prove), tra cui c’era anche un massacro, il massacro
di via Lazio, in cui era stata uccisa una famiglia di mafiosi costruttori, mi
pare padre e tre fratelli. Andai allora dal ministro del Bilancio del tempo,
Giulio Andreotti, a dirgli che se restava Lima io andavo via. Andreotti mi
disse: “Sì, sì, conosco il problema: dopo ne
parliamo”. Replico: “guardi me ne vado e me ne vado con dimissioni pubbliche”.
Non successe nulla e io me ne andai. Ecco: questo è tutto. A cosa è valso
questo gesto? È chiaro che stare al Bilancio a dare consigli a un ministro che
aveva quel collaboratore era inaccettabile dal punto di vista civile: far finta
di niente significava accettare, avallare. Ma andandomene cosa ho ottenuto? Nel
breve periodo nulla; ma, se non altro, ho dimostrato che è possibile reagire e
protestare, nello sforzo di contribuire a fare in modo che il Paese a civiltà
limitata divenga gradualmente un Paese a civiltà piena”.
In questo racconto c’è tutto Sylos Labini maestro
di impegno civile, l’uomo capace di tenere la schiena dritta di fronte al
potere corrotto e di lasciare testimonianze che il tempo non può cancellare
perché parlano direttamente alla coscienza delle persone libere. Guida degli
studi e della vita, gli aveva insegnato Gaetano Salvemini, dev’essere l’intransigenza.
A Salvemini Sylos Labini tornò con un pensiero affettuoso quando affrontò
l’ultima sua battaglia contro il fetido regime di Berlusconi e dei suoi servi:
“Il mio maestro e amico, Gaetano
Salvemini, attaccò Giolitti definendolo «ministro della malavita» per i metodi
che usava nel Mezzogiorno al fine di procurarsi un buon numero - oltre
centoventi - di parlamentari sicuramente fedeli; le sue documentate denunce non
sono mai state smentite da nessuno; Salvemini in seguito affermò che non
ritrattava il suo giudizio ma riconobbe che Giolitti impallidiva di fronte a
Mussolini, che venne dopo Giolitti ed era di gran lunga peggiore. Oggi dobbiamo
parlare di governo della malavita; anzi, considerati gli attacchi alla giustizia
e il «premierato assoluto», la nostra sta per diventare la «repubblica della
malavita»: massima impunità per i delinquenti, garanzie minime o nulle per le
persone oneste e civili”. (Lettera a Elio Veltri, ottobre 2004)
L’altro maestro di Sylos Labini è stato
Ernesto Rossi, che conobbe alla fine del 1949. Da allora “è cominciata una
consuetudine di rapporti (che non hanno riguardato soltanto l’economia ma
anche, debbo dire, i miei problemi personali e la mia vita morale) che è finita
solo con la sua morte. E proprio Ernesto Rossi, con altri, Sylos Labini ricorda
in un articolo pubblicato su Repubblica
del 2002 (Perché ci fanno perdere l’amore
per la patria) dove sostiene che la ragione vera per amare la patria in
modo non retorico è “il rispetto di se stessi, ovvero preservare la propria autostima e la stima
degli onesti di questa e, quando capiranno, della nuova generazione e
contribuire all’incivilimento del proprio paese”.
Sono passati
quarant’ anni da quando Sylos Labini si è dimesso per non convivere con Salvo
Lima. Al posto di Andreotti che protegge
Lima abbiamo Renzi che fa accordi con Berlusconi e sostiene Denis Verdini, e da
questi si fa sostenere. Il grande cambiamento è tutto qui. Anzi, Andreotti era meno
dannoso: non ha mai pensato a devastare la Costituzione.
Tornano alla mente
le parole di Piero Calamandrei che Sylos amava citare: «La tragedia dell'Italia
è la sua putrefazione morale, la sua indifferenza, la sua sistematica
vigliaccheria». Vien voglia di lasciar perdere l’impegno civile e andare il più
lontano possibile. Ma Sylos ci ammonisce che “disperarsi sarebbe sbagliato
perché la Resistenza, che ha espresso il meglio di questo paese, ha lasciato
un'eredità che ora è coperta ma non annullata; e le persone civili, che sono
tante, sono inerti perché sono scoraggiate, ma in tempi brevi possono tornare a
operare”. Anche per Sylos dobbiamo far nostra la massima che Max Weber additava
al grande politico ma che vale per ogni cittadino: “non importa,
continuiamo”.
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