Il coraggio dei giorni grigi. Vita di Giorgio Agosti, di Paolo Borgna (Laterza) è il libro
che deve leggere chi vuole trovare un po' di consolazione per la tristezza di
questi tempie nuove motivazioni all'impegno civile. La vita di Giorgio Agosti,
e la vicenda dell'azionismo torinese, che Borgna ricostruisce con ammirevole rigore storico e
scrittura elegante e chiara, dimostrano che l'Italia repubblicana ha avuto
uomini straordinari per dirittura morale, impegno civile e finezza culturale. Se
i politici italiani avessero imparato e imparassero da uomini come Giorgio
Agosti, la nostra repubblica non sarebbe nella penosa condizione attuale.
La radice dell'azionismo è nella religione del dovere che Agosti
e i suoi amici assorbirono dalle loro famiglie e dall'ambiente spirituale e cui
turale della Torino dei primi decenni del '900, quella religione del dovere che
si nutriva dell'esempio e del ricordo di chi, come i fratelli Giuseppe e
Eugenio Garrone morti sul Carso, aveva dato la vita per un ideale. Ti ricordi, scrive
Agosti a Dante Livio Bianco il 4 aprile 1944, "quella definizione di O
mode o dei fratelli Garrone? 'Erano di quei giusti, grazie ai quali il mondo va
avanti' nonostante tutte le abiezioni e le bassezze e le viltà. E sotto questa
luce, mio caro, che ti vedo. E adesso basta, se no mi commuovo sul serio"
(p. 88).
Spinti dalla religione del dovere e dall'odio per i massacratori
e torturatori nazifascisti, gli azionisti entrarono nella Resistenza consapevoli
che gli italiani non avrebbero provato gratitudine per i loro sforzi e per il oro
sacrifici e li avrebbero trattati piuttosto con indifferenza e fastidio perché
avevano scelto di lottare e di combattere anziché accettare, per amore del
quieto vivere, di servire il padrone di turno: "Per gli uni saremo dei
pazzi, per gli altri dei sovversivi: a cose finite il buon senso filisteo ci
giudicherà con sufficienza o con avversione", scrive Agosti a Livio Bianco
nell'aprile del 1944, e dopo la guerra "dovremo difenderci da nuove
persecuzioni, che vengano da destra o da sinistra" (p. 117).
Agosti fu buon profeta. Il PdA muore nel 1947 dopo una lunga
agonia. Dissolto il partito, l'azionismo sopravvive come forza culturale e punto
di riferimento morale, nonostante gli errori politici e organizzativi dei suoi
uomini confluiti in altre formazioni, soprattutto il Psi. Il 23 giugno 1963, di
fronte alla decisione dell'ex-azionista Riccardo Lombardi di negare l'appoggio
del PSI al governo Moro, Agosti scrive con fine ironia: "Manca nella
nostra Costituzione una disposizione transitoria: tutti coloro che hanno
militato delle file del PdA hanno diritto alla perenne riconoscenza del Paese e
a una pensione vitalizia, ma sono privati dei diritti politici vita natural durante,
e non possono quindi essere né elettori né eleggibili" (p. 194).
Agli azionisti hanno mosso il rimprovero di essere stati
subalterni al Pci e di non aver condotto contro di loro una battaglia altrettanto
intransigente di quella che condussero contro il fascismo. Documenti alla mano,
Paolo Borgna dimostra che il rimprovero è ingiusto. Giorgio Agosti era
perfettamente consapevole della subalternità del Pci a Mosca. Quando nel 1964
Krusciov viene deposto, il suo commento è disincantato: "Ripercussioni in
Italia? Non ne vedo molte: i comunisti si allineeranno coi nuovi padroni, e i
loro elettori li seguiranno. Il voto comunista è voto fideistico o di protesta:
il primo non muta e il secondo resta, irrazionale e sterile fin che si
vuole" (p. 155). Giudicava nefasta l'egemonia del Pci sulla sinistra,e
riteneva che se i comunisti fossero andati al potere avrebbero probabilmente
riservato amare sorprese agli "ultimi dei mohicani", vale a dire gli
azionisti, come Togliatti li chiamava con dispregio. Sono stati accusati anche
di essere un'élite che cercò di orientare con gli scritti e con i libri la vita
politica italiana. Che cosa è di nefasto a essere un élite morale e
intellettuale? Le repubbliche hanno bisogno di uomini e donne di forte tempra morale
e solida cui tura che non si vendono ai padroni di turno perché obbediscono
soltanto alla loro conoscenza. Il problema dell'Italia repubblicana, è stato ed
è, che NON abbiamo un'élite neppure paragonabile agli azionisti. Un paese che
non ama e dimentica uomini come Giorgio Agosti è destinato al più avvilente
degrado civile.
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