Carlo Azeglio Ciampi (9 dicembre 1920- 16 settembre 2016) è stato un presidente profondamente repubblicano. Ha amato i valori, i simboli, le memorie della Repubblica e si è adoperato per tutto il suo mandato affinché gli Italiani li scoprissero e li amassero. Repubblicana era la sua religiosità laica. Prima di Ciampi tutti i presidenti avevano invocato Dio nei loro discorsi d’insediamento.
Uniche eccezioni, Luigi Einaudi,
che esortò tuttavia a guardare al cielo: “Volto lo sguardo verso l’alto, intraprendiamo
umilmente il duro cammino” (12 maggio 1948), e Giuseppe Saragat, che non si
rivolse a Dio, ma invocò la Provvidenza (29 dicembre 1964). Solo Sandro Pertini
non si appellò a Dio o al cielo o alla Provvidenza. Ricordò “i patrioti” con i quali
aveva “condiviso le galere del tribunale speciale, i rischi della lotta
antifascista e della Resistenza”; citò quali suoi maestri Giacomo Matteotti,
Giovanni Amendola, Piero Gobetti, Carlo Rosselli, don Giovanni Minzoni e
Antonio Gramsci” (9 luglio 1978). Ciampi invocò Dio: “Con l’aiuto di Dio, con
la fiducia degli Italiani, sarò fedele al mio giuramento. Sarò fedele ai valori
di libertà, di giustizia, di democrazia che sono il fondamento della Costituzione
repubblicana” (18 maggio 1999). Il suo Dio era il Dio che vive nella coscienza
e comanda di seguire la legge morale. Repubblicana, e azionista (l’unico
partito al quale Ciampi si iscrisse fu il Partito d’Azione), era la sua visione
dell’amor di patria. Fin dall’inizio del suo mandato scelse di usare nei suoi
discorsi la parola ‘patria ’ al posto del più neutro, e più incolore, ‘Paese’, consapevole
di avviare un cambiamento significativo del linguaggio politico. In un discorso
che tenne a Napoli il 10 settembre 1999, affermò: “Sento che ormai ci si trova
subito uniti nel pronunciare, senza nessuna remora psicologica, la parola ‘Patria
’. Questo, credetemi, lo sento un fatto nuovo, dopo un periodo durante il quale
si preferiva ricorrere a riferimenti diversi, che io stesso purtroppo spesso ho
usato, la parola ‘Paese’. Io preferisco usare la parola ‘Patria’”. Avviandosi
alla fine del mandato, volle mettere in rilievo che il suo impegno per
incoraggiare gli italiani a riscoprire l’amor di patria era un imperativo morale
che nasceva dalla sua esperienza di vita: “A questi sentimenti, frutto delle
esperienze di una vita iniziata, nella gioventù, negli anni drammatici della
Seconda guerra mondiale e della Lotta di Liberazione, mi hanno ispirato stati d’animo
a cui, divenuto capo dello Stato, ho dato spontanea espressione: l’amor di Patria,
l’adesione istintiva ai simboli della Nazione italiana, l’inno di Mameli, la
bandiera tricolore, il vessillo levato in alto dagli eroi del Risorgimento”. Di
schietto timbro repubblicano era la sua convinzione che il vero amor di patria trova
il suo coronamento nell’ideale dell’Europa unita. Confortava e rafforzava la
sua convinzione la Storia d’Europa nel secolo decimonono di Benedetto
Croce che Laterza pubblicò nel 1932. Ciampi conosceva benissimo quel libro: “Negli
anni bui della dittatura noi, allora giovani, leggevamo di nascosto Benedetto Croce.
Nelle pagine immortali dell’‘Introduzione’ alla Storia d’Europa nel secolo decimonono,
c’è un’idea dinamica, quasi la ricerca di un destino. Questo destino è la
libertà”(19 aprile 2002). Durante un colloquio nello studio presidenziale, mi
sia permesso un ricordo personale, recitò a memoria, commosso, la celebre
pagina dell’‘Epilogo’: “Già in ogni parte d’Europa si assiste al germinare di
una nuova coscienza, di una nuova nazionalità (perché, come si è già avvertito,
le nazioni non sono dati naturali, ma stati di coscienza e formazioni
storiche); e a quel modo che, or sono settant’anni, un napoletano dell’antico
Regno o un piemontese del regno subalpino si fecero italiani non rinnegando l’essere
loro anteriore, ma innalzandolo e risolvendolo in quel nuovo essere, così e
francesi e tedeschi e italiani e tutti gli altri si innalzeranno a europei e i
loro cuori batteranno per lei come prima per le patrie più piccole, non
dimenticate già, ma meglio amate”. Consapevole della natura dell’ordinamento
repubblicano, dichiarò di non essere disponibile per un secondo mandato. “Il
rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle
caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato” (16 settembre
2016). Repubblicane erano la sua interpretazione della Resistenza come lotta di
liberazione di popolo e di militari idealmente erede del Risorgimento e la sua concezione
della Costituzione come una “Bibbia civile”che riconosce i diritti fondamentali
della persona e addita ai governanti e ai cittadini i doveri inderogabili di solidarietà.
Repubblicano nell’animo, volle essere, e seppe essere, un presidente educatore.
Educò gli Italiani ai princìpi della coscienza civile perché sapeva bene, e
aveva ragione, che senza coscienza civile la Repubblica muore.
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