“Quando non
sai cosa fare, fai quel che devi”. Questa frase che Pier Luigi Bersani ha
pronunciato per motivare la sua sofferta scelta di uscire dal Partito
democratico, è una delle pochissime affermazioni degne di rispetto e di ammirazione
che spicca nel desolante panorama del dibattito politico italiano. Merita
rispetto perché chiarisce che decisioni politiche di grande importanza devono essere
assunte secondo principi e non secondo interessi personali o di parte. Mi fa
piacere render merito a Pier Luigi Bersani perché in passato, quando ha
ragionato e agito in maniera completamente opposta, quando cioè ha collocato la
‘lealtà alla ditta’ (parte) al di sopra della Costituzione (principio), l’ho
aspramente criticato. Questa volta, giusta la motivazione, giusta la scelta.
Un Pd senza
Bersani e senza tutti coloro che già lo hanno seguito e che lo seguiranno, sarà
un partito più debole e dunque meno in grado di fare male all’Italia come il Pd
renziano ha tentato di fare con la riforma costituzionale e come ha fatto con
il Jobs Act, la Buona Scuola, lo Sblocca Italia, l’Italicum e altro ancora.
Antonio
Padellaro ha ragione da vendere a ricordare e biasimare la vocazione della
sinistra italiana a dividersi, spesso sulla base di calcoli elettorali
piuttosto che per ragioni ideali. Nel caso della scissione del Pd, però, non credo
si possa parlare di una tipica scissione all’interno della Sinistra, per l’ovvia
ragione che questo Pd alleato prima con Berlusconi, poi con Alfano, per non
citare l’amoroso sodalizio con Verdini, di sinistra non ha proprio nulla. Si potrebbe
forse parlare di scissione per la Sinistra, non della Sinistra.
IL GIUDIZIO sulla
pericolosità di questo Pd per il bene comune non cambia se il posto di Matteo
Renzi (che in questo momento drammatico ha pensato bene di andare a curare i
propri interessi in California) lo occuperà Andrea Orlando. Incapace di far
passare una legge che cancelli l’infamia della prescrizione, ha però tuonato
che è bene legare la figura di Craxi “non soltanto agli errori ma anche a un’idea
di innovazione che Craxi propose a un Paese che da molto tempo non vedeva un’idea
di trasformazione della politica”. Come può il Guardasigilli chiamare ‘errori’
i comportamenti criminali e la violazione delle leggi? Le ‘idee di innovazione’
sarebbero la spregiudicata brama di potere e la legittimazione della
corruzione? Craxi è stato un delinquente, il vero iniziatore dei peggiori mali
italiani, colui che ha spalancato le porte a Berlusconi, il propugnatore della
ostilità nei confronti dei magistrati che combattono i criminali, recentemente
ribadita da Renzi con la vergognosa frase “basta con la barbarie giustizialista”.
Un Pd forte con a capo Orlando potrebbe fare ancor più male di quello che ha
già fatto il Pd di Renzi.
Diversa
considerazione merita la rispettabile scelta di Michele Emiliano: decidere di
restare e provare a combattere i gravi mali di questo Pd dall’interno, ammesso che
possa vincere il congresso, vorrebbe dire scendere a patti con una forte
componente renziana. Ma è bene e giusto, all’interno di un partito, scendere a
patti con chi ha progetti politici diametralmente opposti?
Non trovo
convincente, se pur nobile, neppure la riflessione di Romano Prodi e degli amici
Alessia Mosca e Enrico Letta. Se pur con accenti diversi, tutti e tre
sostengono che un Pd forte e rinsaldato in tutte le sue componenti, è
necessario per salvare la già debole Europa. A parte che questo Pd da tempo non
è più il grande progetto ulivista, il prezzo da pagare sarebbe davvero troppo
alto: la devastazione della nostra Repubblica. Credo, inoltre, che il
ragionamento da svolgere sia esattamente l’opposto: solo una buona patria
italiana, insieme ad altre buone patrie, può contribuire a una buona Europa. Un’Italia
devastata non aiuta l’Europa.
L’unico
problema, ma è grave, che chi ha lasciato il Pd dovrà affrontare, si può
sintetizzare in ‘too little, too late’(troppo poco, troppo tardi).
Troppo poco perché allo stato attuale pare che a uscire non saranno molti;
troppo tardi perché avrebbero dovuto uscire il giorno stesso in cui è stata
messa ai voti l’oscena Riforma costituzionale Boschi-Renzi-Verdini.
HA VISTO BENE
Pippo Civati che è uscito dal Pd il 6 maggio 2015 dopo aver votato contro il
Jobs Act e lo Sblocca Italia, quando misero la fiducia sull’Italicum e la
Riforma costituzionale era passata in prima lettura. Se coloro che escono ora fossero
usciti allora, si sarebbero presentati all’opinione pubblica con una
motivazione fortissima dal punto di vista ideale e politico che avrebbe
assicurato loro una bella fetta dei consensi che si sono raggruppati intorno al
No. Purtroppo, il tempo in politica è determinante, e può far sì che una scelta
giusta si riveli politicamente poco efficace. Ma meglio tardi che mai.
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