Spiega in incipit l'autore: "Tre grandi opere a me care mi hanno
suggerito il titolo: Autunno del Medioevo di Johan Huizinga, Autunno
del Rinascimento di Carlo Ossola, e Autunno del Risorgimento di Giovanni
Spadolini". E infatti il libro di cui andiamo a parlare s'intitola L'autunno della Repubblica. Potrebbe anche intitolarsi, parafrasando
un verso di Shakespeare, "L'autunno del nostro scontento": il cahier
de doléances è lungo. Maurizio Viroli, politologo e professore emerito a Princeton,
i lettori del Fatto lo conoscono bene per essere una delle firme del
giornale. Anche se qui s'incontra più Maurizio che il professore.
Per spiegare
perché le idee repubblicane lo hanno più di tutte le altre affascinato,
racconta un episodio della sua infanzia: "Un parente mi regalò un pallone
di plastica, quelli di cuoio erano un sogno irraggiungibile. Era l'unico
pallone che avessi mai posseduto e lo portai trionfante alla partita pomeridiana
che si disputava per strada". Poi un vigile urbano interrompe la partita e
sequestra l'oggetto dei desideri: "Impazzito di rabbia, mi avvinghiai alle
enormi gambe del vigile e cominciai a mordere, calciare, graffiare. Sono passati
più di cinquant'anni e soltanto un po' più di senno e il timore delle
conseguenze mi trattengono dal reagire con la medesima violenza alle prepotenze
che subisco o vedo altri subire".
Qua li sono le prepotenze
che la fanno arrabbiate?
Più che rabbia direi profonda indignazione per quelle inflitte agli
indifesi, ai deboli, ai poveri. E poi per quelle nei confronti dei princìpi e
delle regole. L'uomo potente che calpesta le leggi, il politico che offende la Costituzione,
il ricco che in nome del denaro pensa di essere padrone della cosa pubblica. Le
prepotenze verso alcune comunità, che di solito chiamiamo razzismo. Questa
costellazione di manifestazioni dell'arroganza mi indigna più di tutto.
Parla del suo '68 come di
un'esperienza fondamentale. Perché?
Il '68 in Italia ha avuto molti riflessi ed effetti negativi.
Primo tra tutti l'assemblearismo: dire che l'assemblea è sovrana significa
affermare che sono sovrani i demagoghi. Quelle del '68 erano tribune dove
alcuni capi, riconosciuti per la loro capacità di persuasione o per il loro
carisma, riuscivano a conquistare un potere che veniva usato contro le
istituzioni. Poi il '68 è stato caratterizzato - in larghe parti del movimento
- da una inaccettabile legittimazione della violenza politica. Stessa cosa per
il dogmatismo, il fanatismo e l'intolleranza. Però per me è stato altro: prima
io avevo letto solo i manuali scolastici. Il '68 mi ha fatto conoscere libri
che non mi hanno dato solo nozioni ma mi hanno aperto orizzonti nuovi. Erano una
guida verso la costruzione di un mondo diverso rispetto all'ignoranza, la povertà,
la sopraffazione.
Quali sono i sintomi
dell'autunno repubblicano?
L'idea rassegnata che il nostro Paese sia caratterizzato da
malgoverno, corruzione, arroganza è il segno più chiaro. Corruzione e
malgoverno ci sono sempre stati, quel che mi pare nuovo e preoccupante è la
convinzione che non ci sia nulla da fare se non accettare e adeguarsi. In
questa idea malata si inseriscono le motivazioni di chi ha deciso di votare Sì
al referendum costituzionale nonostante la consapevolezza di quanto la riforma faccia
schifo.
Nel libro ci sono alcuni
suoi interventi apparsi sul Fatto, tra cui uno del 2011 sulla servitù
volontaria. Oggi è cambiato qualcosa?
Dovrei scrivere La libertà dei servi 2. La teoria di quel
libro è che quando hai un potere enorme di uno solo s'impone il sistema di
corte. Cioè una schiera di uomini e donne che corrono a servire il signore, per
ottenere fama, privilegi, protezione dalle leggi, denaro. Quando poi il signore
dà segni di debolezza, i cortigiani cercano un'altra corte come Alfano & company
che si sono trasferiti dalla corte di Berlusconi a quella di Renzi. Il segno
della mentalità servile è il conformismo: tutti parlano allo stesso modo,
imitano il capo.
Un bellissimo capitolo è
dedicato ai maestri dimenticati: Crooe, Rosselli, Calamandrei, Ernesto Rossi,
Parri, Sylos Labini, Gobetti. Alcuni sono stati arruolati dai neo-costituenti.
La caratteristica più inquietante dell'élite politica e
intellettuale è l'insofferenza, che nasce dall'invidia verso i grandi del
passato. La prima conseguenza è la derisione, l'accusa di essere illusi che non
hanno concluso nulla. Sconfitti. Poi c'è l'uso improprio e meschino di parole e
pensieri dei grandi del passato per legittimare i propri atti o le proprie idee.
La riforma costituzionale ne è un esempio: non solo quella attuale, ama tutti i
tentativi di mani polare la Carta da Craxi in poi. Offendono la Costituzione
perché sono mediocri, superficiali e spesso ignoranti. Invece della fatica dello
studio preferiscono la facile via della mutilazione di una Carta che, se
attuata, sarebbe la nostra salvezza.
I lavoratori non votano
più per i partiti democratici. Vedi le elezioni Usa.
Quando i ceti a reddito più basso si impoveriscono e si sentono
minacciati (nel caso americano anche dagli immigrati) si scatena la guerra fra poveri
e l'abbandono dei partiti che fino a quel momento li ha rappresentati. E il
distacco è violento. Così è accaduto negli Stati Uniti. Anche in Italia abbiamo
assistito ad un evento simile, prima con Berlusconi e la Lega, alle ultime
amministrative, quando a Roma quartieri ricchi come i Parioli hanno votato Pd e
le borgate no. Quando la sinistra dimentica o ripudia la sua missione di
rappresentare i più deboli, quando non sa più disegnare mondi nuovi dove
emancipazione sociale, uguaglianza e solidarietà albergano, il demagogo prende
il sopravvento. E la Repubblica muore.
Nessun commento:
Posta un commento