Ringraziamo
sinceramente per la gentile e disinteressata premura, cari mercanti
internazionali, ma dei vostri ammonimenti non ce importa un fico secco. Siete
pregati di farvi gli affari vostri anziché ficcare il naso in una questione che
non vi compete, quale la Costituzione di uno Stato sovrano, e di cui non capite
una mazza. Siete abituati a trattare con investitori, azionisti, dipendenti e
fare i conti con i profitti e coi vostri interessi. Vi sfugge il particolare che
esistono anche dei cittadini di libere repubbliche che pensano in termini di
bene comune, che non intendono prendere ordini da chicchessia e vogliono decidere
con la loro testa sotto quale Costituzione vivere.
SE
RENZI FOSSE un vero capo di governo, e se il Presidente Mattarella intendesse
come intendo io il dovere di rappresentare l’unità nazionale, avrebbero
risposto più o meno in questi termini al concerto di pressioni dei non meglio
identificati mercati internazionali di cui abbiamo letto in questi giorni. Ma
il primo, immagino, si starà sfregando le mani soddisfatto per l’aiuto alla sua
campagna referendaria; il secondo, che io sappia, tace. Qui non si tratta del
diritto delle istituzioni finanziarie internazionali di operare secondo le
regole del mercato, ma della loro arrogante pretesa di influenzare con aperte minacce
il voto del referendum.
Non
sta scritto da alcuna parte che i capi dei governi di paesi democratici a
economia di mercato non possano e non debbano sottrarsi ai loro comandi. Nel
1936, in piena campagna elettorale, il presidente americano Franklin Delano Roosevelt
disse di essere consapevole che i monopoli della finanza lo odiavano, e
aggiunse: “I welcome their hatred” (“ben venga il loro odio”) e tirò dritto con
le sue politiche del New Deal che permisero agli Stati Uniti di uscire dalla tremenda
crisi economica del 1929. Da queste parti di leader politici del calibro di
Roosevelt non se ne vedono. E francamente dispiace leggere che un uomo e un
politico della tempra di Romano Prodi, che potrebbe fare la differenza, è
orientato a votare no ma non intende dichiararlo pubblicamente per una sorta di
“spirito nazionale” e di timore delle speculazioni finanziarie. Ma proprio lo spirito
nazionale bene inteso impone di prendere posizione netta e operare con tutte le
proprie forze per il no, se si crede in coscienza che la vittoria del sì devasti
la Costituzione. C’è forse un bene comune più alto della Costituzione? Se i
capi non sanno tenere la schiena dritta davanti alle oligarchie finanziarie
possiamo farlo noi cittadini, con un bel no che nasce dalla volontà di dire a
lorsignori che non prendiamo ordini da nessuno. Se la maggioranza degli
italiani voterà sì perché impaurita dalle minacce dei mercanti vorrà dire che è
felice di essere serva. Che differenza c’è fra obbedire a un padrone domestico
e obbedire ai padroni della finanza internazionale? Ma allora tanto vale andare
fino in fondo e chiedere a JP Morgan o a Bloomberg di scrivere loro la nostra Costituzione
e toglierci l’inutile fardello della libertà.
AFFERMARE
il diritto e dovere dei popoli di scegliere la propria Carta contro i potenti
stranieri non è nazionalismo, ma quel sano amor di patria di cittadini che
pretendono rispetto e non tollerano di essere trattati come bambini da potenti che
traggono la loro potenza dal denaro. E lasciamo stare la fandonia che la
vittoria del no danneggerebbe l’Europa. Sono i politici da barzelletta sempre
pronti a fare quello che vogliono i mercati che stanno distruggendo l’ideale
europeo. Quell’ideale, vale la pena ricordarlo, era di un’Europa di popoli. Ma
veri popoli sono soltanto quelli che vogliono e sanno essere arbitri del loro
destino. Nella nostra storia, noi italiani raramente siamo stati in grado di
affermare la nostra dignità di popolo e di riscattarci dai padroni stranieri.
Ma qualche volta ci siamo riusciti. Proviamo, almeno proviamo.
L'articolo mi ha fatto venire in mente questa frase di Domenico Romagnosi "La costituzione è la legge che il popolo impone ai suoi governanti per tutelare se stessi dai loro arbitri."
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