Neppure
l’amico Gianfranco Pasquino, nonostante la sua proposta (pubblicata su questo giornale)
sia molto seria, riesce a persuadermi dell’opportunità di apportare modifiche
sostanziali alla Carta costituzionale. Se però una revisione si deve proprio
fare per contrastare efficacemente la riforma Renzi-Boschi-Verdini, allora
pensiamo a modifiche coerenti con i principi del buon governo repubblicano che
rendano il più possibile difficile che chiunque possa controllare le
istituzioni dello Stato e diventare così padrone di fatto della Repubblica.
Se
questo è il principio ispiratore, è molto meglio avere due Camere legislative
di pari dignità e potere, ma elette con diverse modalità. Pasquino preferirebbe
invece una sola camera legislativa. Non propone l’abolizione del Senato soltanto
perché “pare difficile”, non perché non la reputi desiderabile. Concorda tuttavia
con i fautori del Sì nel togliere al Senato, che a suo giudizio deve rimanere
elettivo, il potere di dare e revocare la fiducia al governo.
Questa
idea non è saggia: tenere in pugno una sola camera che può dare o revocare fiducia
è più facile che tenerne in pugno due. Da realista penso che i governanti tendano
ad abusare dei loro poteri e quindi maggiori sono i limiti, minori i rischi di
abusi. Se poi i governanti sono onesti e capaci, allora governano bene anche se
le camere che possono dare e togliere la fiducia al governo sono due e non una.
Una
revisione saggia dovrebbe piuttosto preoccuparsi soprattutto di mettere una
volta per tutte la Costituzione al riparo di modifiche approvate con i soli
voti della maggioranza che sostiene i governi in carica. L’articolo 138 dovrebbe
stabilire che ogni legge di revisione costituzionale deve essere approvata con
una maggioranza di due terzi dei componenti di ciascuna camera. Senza maggioranza
dei due terzi, niente revisioni e, a maggior ragione, niente riforma. In questo
modo i capi di governo smetterebbero di voler cambiare la Costituzione ad ogni piè
sospinto e, forse, cercherebbero di fare meglio il loro dovere, che è appunto
quello di governare nel rispetto della Costituzione.
Non è
materia da stracciarsi le vesti, ma non toglierei i senatori a vita di nomina
presidenziale come Pasquino propone. Avere in Senato dei cittadini che hanno
illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico,
letterario ed artistico vorrebbe dire arricchire quell’assemblea legislativa di
un patrimonio prezioso di saggezza e competenza, e, soprattutto, avere in aula
persone che nessuno può ricattare con la minaccia di mandarli a casa. Non è cosa
da poco, di questi tempi in cui sono i segretari di partito a decidere chi va
in Parlamento e chi resta a casa.
Saggezza
antica suggerisce poi che una buona Repubblica deve offrire ai suoi migliori
cittadini onori adeguati. Per chi ha dedicato la vita al servizio di alti
ideali essere nominato senatore a vita sarebbe giusto premio, e la prospettiva
di un così grande onore incoraggerebbe altri a seguirne l’esempio. Pasquino ha
ragione a ribadire che la rappresentanza politica deve essere elettiva, ma l’istituzione
dei senatori a vita è un benefico temperamento che non viola il principio
fondamentale della rappresentanza.
Temo
che nessuno dei fautori della riforma modificherà la sua posizione convinto
della bontà di una diversa proposta. Molti sostenitori del sì sanno benissimo che
la riforma di Renzi fa schifo, ma la votano ugualmente per ragioni che nulla
hanno a che fare con il suo contenuto. Alcuni sostengono che bisogna votare sì per
timore dell’instabilità politica, altri per timore di cataclismi economici.
Massimo
Cacciari ha addirittura dichiarato che giudica la riforma una “puttanata” ma
voterà sì per spirito di “responsabilità repubblicana" dimostrando così di
non sapere che il vero spirito repubblicano impone la lealtà alla Costituzione
al di sopra di qualsiasi altra considerazione. Chi ragiona così non si lascerà persuadere
da una diversa e migliore riforma. La proposta di Pasquino ha tuttavia il
grande merito di confutare una volta per tutte l’argomento ripetuto ad nauseam,
che chi si oppone alla loro orrenda riforma vuole lasciar le cose come stanno.
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