Giorgio
Napolitano sarà ricordato nella storia politica e istituzionale come il presidente della Repubblica eletto per un secondo mandato che ha
poi interrotto per sua volontà il settennato
prima del termine. Tanto la scelta di accettare il
secondo mandato, quanto la scelta di rassegnare le dimissioni
nascono da nobili motivazioni: "salvaguardare la continuità
istituzionale", nel primo caso; il "peso
dell'età", nel secondo. Nobili e degne di rispetto, ma discutibili.
La Repubblica non sopporta magistrature molto lunghe perché teme che favoriscano la formazione di poteri arbitrari o enormi. Il presidente della Repubblica non fa eccezione. Come aveva ammonito il saggio Ciampi, "il rinnovo di un mandato lungo, qual è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato". Accettando un secondo mandato, il presidente Napolitano più che salvaguardare ha ferito l'equilibrio repubblicano. E, dato ancora più grave, ha creato un precedente pericoloso. È ipotesi così lontana dal vero che il nostro Parlamento, soprattutto quando sarà ridotto, sconsideratamente, a una sola Camera dominata da una maggioranza prona agli ordini del presidente del Consiglio elegga a capo dello Stato un politico inetto o corrotto? In base a quale argomento si potrà in questo caso sostenere che non può essere rieletto per un secondo o terzo mandato? Altrettanto discutibile è stata la decisione di accettare la rielezione a capo dello Stato con l’esplicito intento di non terminare il mandato. In primo luogo perché la Costituzione prescrive che “Il presidente della Repubblica è eletto per sette anni” (art. 85). Chi elegge ha dunque il dovere di scegliere una persona che è disposta e pronta e, nei limiti delle umane conoscenze, in grado di servire per sette anni; chi è eletto deve essere disposto, pronto e in grado, in coscienza, di servire per sette anni, per il semplice motivo che lo esige la natura della carica. Anche in questo caso si tratta di un precedente pericoloso. Può portare a presidenti ‘usa e getta’, a seconda delle esigenze di chi comanda al Parlamento. Criticabili inoltre, sono gli interventi di Giorgio Napolitano mentre era in corso la discussione alla Camera o al Senato. L’aureo principio è che quando il Parlamento parla, il presidente tace. Se, ad esempio, il capo dello Stato si esprime a favore del superamento del bicameralismo perfetto mentre è in discussione la riforma della Costituzione, agisce come potere di parte a sostegno in questo caso del governo e non, come dovrebbe, come potere super partes. Si delinea così una Repubblica con due presidenti del consiglio: troppi. Uno dei criteri che ha ispirato l’azione politica di Giorgio Napolitano, a giudicare dalle sue parole e dalle sue scelte, è la convinzione che il male più grave di cui soffre la società italiana è “l’antipolitica”. Eversiva, l’ha a definita in un recente discorso. Ma l’aggettivo sarebbe stato più appropriato per Forza Italia, visto che i suoi fondatori sono in carcere o ai servizi sociali. E invece con Berlusconi e soci, a suo giudizio, si può non solo governare ma addirittura riformare la Costituzione. Sappiamo tutti che il Movimento 5 Stelle agisce spesso in modo dissennato. Ma fra una banda di delinquenti e dei dissennati chi è più pericoloso? Il presidente Napolitano ha saputo denunciare con parole cariche di alto sdegno la corruzione che sta avvelenando l’Italia. Ma prima della questione morale viene per lui la stabilità del governo o, più in generale, governare. Anche la sua biografia invita a interpretare così le sue parole e i suoi atti. Quando Enrico Berlinguer, nell’estate del 1981 parlò della questione morale come del più grave dei mali italiani, Napolitano lo criticò dalle colonne de L’Unità, ammonendo a non chiudere il partito in atteggiamenti di “pura denuncia” e a riprendere il dialogo con il Psi di Craxi al fine di poter governare o almeno essere partecipi all’opera di governo. I fatti hanno dato ragione a Berlinguer e torto a Napolitano. L’aver posto l’esigenza del governo al di sopra della questione morale è stato, a mio giudizio, un grave errore. Con il più sincero rispetto per l’uomo, non credo che avremo ragioni per rimpiangere il presidente Napolitano.
La Repubblica non sopporta magistrature molto lunghe perché teme che favoriscano la formazione di poteri arbitrari o enormi. Il presidente della Repubblica non fa eccezione. Come aveva ammonito il saggio Ciampi, "il rinnovo di un mandato lungo, qual è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato". Accettando un secondo mandato, il presidente Napolitano più che salvaguardare ha ferito l'equilibrio repubblicano. E, dato ancora più grave, ha creato un precedente pericoloso. È ipotesi così lontana dal vero che il nostro Parlamento, soprattutto quando sarà ridotto, sconsideratamente, a una sola Camera dominata da una maggioranza prona agli ordini del presidente del Consiglio elegga a capo dello Stato un politico inetto o corrotto? In base a quale argomento si potrà in questo caso sostenere che non può essere rieletto per un secondo o terzo mandato? Altrettanto discutibile è stata la decisione di accettare la rielezione a capo dello Stato con l’esplicito intento di non terminare il mandato. In primo luogo perché la Costituzione prescrive che “Il presidente della Repubblica è eletto per sette anni” (art. 85). Chi elegge ha dunque il dovere di scegliere una persona che è disposta e pronta e, nei limiti delle umane conoscenze, in grado di servire per sette anni; chi è eletto deve essere disposto, pronto e in grado, in coscienza, di servire per sette anni, per il semplice motivo che lo esige la natura della carica. Anche in questo caso si tratta di un precedente pericoloso. Può portare a presidenti ‘usa e getta’, a seconda delle esigenze di chi comanda al Parlamento. Criticabili inoltre, sono gli interventi di Giorgio Napolitano mentre era in corso la discussione alla Camera o al Senato. L’aureo principio è che quando il Parlamento parla, il presidente tace. Se, ad esempio, il capo dello Stato si esprime a favore del superamento del bicameralismo perfetto mentre è in discussione la riforma della Costituzione, agisce come potere di parte a sostegno in questo caso del governo e non, come dovrebbe, come potere super partes. Si delinea così una Repubblica con due presidenti del consiglio: troppi. Uno dei criteri che ha ispirato l’azione politica di Giorgio Napolitano, a giudicare dalle sue parole e dalle sue scelte, è la convinzione che il male più grave di cui soffre la società italiana è “l’antipolitica”. Eversiva, l’ha a definita in un recente discorso. Ma l’aggettivo sarebbe stato più appropriato per Forza Italia, visto che i suoi fondatori sono in carcere o ai servizi sociali. E invece con Berlusconi e soci, a suo giudizio, si può non solo governare ma addirittura riformare la Costituzione. Sappiamo tutti che il Movimento 5 Stelle agisce spesso in modo dissennato. Ma fra una banda di delinquenti e dei dissennati chi è più pericoloso? Il presidente Napolitano ha saputo denunciare con parole cariche di alto sdegno la corruzione che sta avvelenando l’Italia. Ma prima della questione morale viene per lui la stabilità del governo o, più in generale, governare. Anche la sua biografia invita a interpretare così le sue parole e i suoi atti. Quando Enrico Berlinguer, nell’estate del 1981 parlò della questione morale come del più grave dei mali italiani, Napolitano lo criticò dalle colonne de L’Unità, ammonendo a non chiudere il partito in atteggiamenti di “pura denuncia” e a riprendere il dialogo con il Psi di Craxi al fine di poter governare o almeno essere partecipi all’opera di governo. I fatti hanno dato ragione a Berlinguer e torto a Napolitano. L’aver posto l’esigenza del governo al di sopra della questione morale è stato, a mio giudizio, un grave errore. Con il più sincero rispetto per l’uomo, non credo che avremo ragioni per rimpiangere il presidente Napolitano.
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